Un tiranno in gonnella

Per comprendere chi siano stati i tiranni bisogna andare indietro nel tempo, fino alle vicende politiche che la Storia ci ha tramandato, risalenti tra il sesto ed il quinto secolo avanti Cristo. Ai suoi albori, la parola “tiranno” non aveva il significato spregiativo di cui gode, immeritatamente, oggi. Tale negatività, a detta degli esperti, sarebbe dovuta alla narrazione fatta dagli intellettuali aristocratici che così l’hanno poi tramandata ai posteri. Ora, lungi dall’essere dittatoriale e liberticida, la tirannia fu una particolare modalità di governo, sperimentata ad Atene, che assegnava nelle mani di una sola persona il governo della Polis. Una persona colta, saggia e autorevole, certamente in grado di poter ben amministrare la Città. Insomma: si trattava di un metodo per sostituire i nobili al potere facendo contare categorie come artigiani, commercianti, piccoli proprietari: gente comune che era in possesso dei requisiti per votare in quell’innovativo sistema di scelta detto democrazia. Tra queste figure ci fu Pisistrato che ebbe come suo contemporaneo e predecessore Solone, il più famoso legislatore greco insieme a Pericle, che tuttavia non aveva saputo sedare le varie controversie insorte nella capitale dell’Attica. Pisistrato fu benvoluto dal popolo ed ebbe molti meriti come amministratore, tra i quali l’introduzione della moneta. Insomma allora come adesso, in politica le idee camminano sulle gambe degli uomini e i liberali amano affermare che “la carica non santifica chi la ricopre”, onde per cui gli inetti e gli incapaci restano tali anche se assurti al vertice di qualsivoglia comunità (politica o statale che essa sia). D’altronde, venendo ai tempi nostri, la crisi dei partiti politici, scatenata sia dallo scandalo di Tangentopoli, sia dal mutato quadro politico internazionale, con la fine della guerra fredda e dei blocchi geopolitici ad Est (crollo dell’Urss) e ad Ovest, ha portato a una profonda mutazione di quelle forme partecipate dal popolo, intermediarie tra Stato ed elettori, chiamate “forze politiche”. Queste ultime sono state attive fino alla fine del secolo scorso, come organizzazioni di massa. Max Weber in “La politica come professione”, le descrive presenti ovunque, collegate con sindacati e associazioni collaterali, forme di tutela delle esigenze di vaste fasce di elettorato, caratterizzate da una precisa ideologia e da un bagaglio storico e sociale ben preciso. Questo carattere popolare ha chiuso i battenti già da un bel po’ e la forma personalizzata e minimale del partito ha preso il sopravvento, cancellando la vecchia cifra distintiva popolare fino a sostituirla con “movimenti” costruiti attorno alla persona che li guida. Una moderna “tirannia” che con il sistema elettorale maggioritario avrebbe fatto designare al popolo non solo il vincitore, ma anche il futuro leader di governo, individuato come capo del partito o della coalizione vincitrice delle elezioni. Se a capo del governo italiano per la prima volta abbiamo una giovane donna lo dobbiamo proprio a questa fase “tirannica” dell’agire politico. Anzi, grazie a questo nuovo elemento, che rafforza i poteri decisionali di chi ha ricevuto la legittimazione democratica a governare, ci troviamo un premier a Palazzo Chigi che non è stato filtrato e identificato nelle solite camarille di Palazzo, dalle quali era distinto e distante, bensì dal voto popolare. Ebbene, in virtù di questa estraneità ontologica e culturale può nascere una politica concretamente dichiarata e operativa per quanto prudente essa sia. Una politica capace chiaramente di “decifrare” anche temi spinosi e divisivi rimasti a lungo irrisolti: dalla giustizia, ai migranti, dall’abolizione di forme di parassitismo clientelare (reddito di cittadinanza) all’assalto alla diligenza del debito pubblico. Insomma può prendere piede un’autorevolezza destinata a crescere presso la comunità europea e molti altri Stati. Il caso più eclatante – riforma della giustizia a parte – è quello dei migranti che finalmente viene affrontato come un “problema interno” della Ue e come tale sostenuto da parte dei Paesi membri. Frappongono ostacoli sulla obbligatorietà delle quote di migranti a cui dare asilo, la Polonia e l’Ungheria, quest’ultima guidata da un leader come Victor Orban, sovranista e incline a denegare qualsivoglia obbligo di solidarietà e accoglienza. Eppure era dato come sodale di Giorgia Meloni nei tempi passati, intransigente e destrorso, ma a differenza della leader di FdI, che applica la réal-politique, il premier ungherese non ha saputo cogliere le potenzialità di emancipazione di chi gestisce il potere, adeguandosi al ruolo di responsabile del governo innanzi a un fenomeno mondiale e non di inconsolabile contestatore. Viceversa per la nostra Meloni, abile ad adeguarsi alle necessità superando pregiudizi e stereotipi. Se risolverà questo drammatico problema umano potrà ben dire che avere un “tiranno” in gonnella è sempre meglio di un inutile Solone.

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