Sandokan, la resa improvvisa del padrino: “Ora basta”

CASAL DI PRINCIPE – L’ultimo processo in cui è stato imputato e condannato è quello che si è concluso il 18 gennaio scorso. In quel processo per triplice omicidio Francesco Schiavone aveva chiesto il rito abbreviato sperando in uno sconto di pena invece il giudice al processo lo ha condannato comunque all’ergastolo. I tre omicidi sono quelli di Luigi Diana, Nicola Diana e Luigi Cantiello; furono ammazzati il tre gennaio del 1983. In quell’udienza a cui l’imputato Francesco Schiavone aveva preso in videocollegamento, al suo avvocato difensore, Mauro Valentino, era apparso “tranquillo”. Dal 19 gennaio ai giorni scorsi però qualcosa deve aver indotto il capoclan a dichiarare la sua volontà di collaborare con la giustizia. “Ora basta” ha detto al magistrato che lo ha incontrato in carcere. Una decisione improvvisa, che non sembra avere collegamenti diretti con l’inchiesta sulla sorte del boss Antonio Bardellino riaperta mesi prima, con delle perquisizioni nel Basso Lazio, rispetto al pentimento di Sandokan. Sulle sue condizioni fisiche è emerso come Schiavone si sia sottoposto ad una serie di esami oncologici per scongiurare la presenza di una qualche patologia neoplastica. E’ emersa una pancreatite. Schiavone è dunque affetto da una patologia ma non ha neoplasie; la voce che fosse malato di tumore non è però mai stata smentita forse proprio per tenere riservato il trasferimento nell’istituto di pena dove già sta parlando con la Dna e la Dda distrettuale. Alcuni dei suoi stretti familiari, sempre secondo le fonti, sono rimasti spiazzati da questa decisione di collaborare con la giustizia, e alcuni di loro si sarebbero rifiutati di abbandonare le loro case a Casal di Principe. Non è chiaro con certezza quando Schiavone sia stato trasferito nel carcere de L’Aquila; comunque il trasferimento avvenuto prima del 21 marzo scorso. Cosa abbia indotto il capo dei Casalesi a collaborare con la giustizia è quanto avrà chiarito nelle prime dichiarazioni che per quanto riguarda i boss di camorra riguardano, su sollecitazione del magistrato, proprio le motivazioni della scelta fatta dopo 26 anni di carcere, rompendo un giuramento di sangue alla mafia di oltre 40 anni fa. Un giuramento vecchio stile, con la pungitura del dito e il sangue che scorre sull’effige sacra della Madonna poi bruciata a suggellare una fedeltà a quello che si considerava essere il codice di onore dei mafiosi. Una pratica aberrante a cui sono stati sottoposti pochi altri capi e boss della camorra dei Casalesi. Tra questi, Francesco Bidognetti, in carcere dal 1993, Vincenzo Zagaria, in carcere dal 1996, Salvatore Cantiello detto Carusiello, in carcere dal 1999 e Michele Zagaria, arrestato nel 2011. Con Raffaele Diana, altro affiliato con il rito, Giuseppe Diana, Giuseppe Russo e pochi altri, sono gli esponenti del clan che hanno finora tenuto fede a quell’aberrante giuramento alla camorra.

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