Abusi sessuali su minorenni, don Mura rinviato a giudizio

Ritenuto innocente dalla Congregazione per la dottrina della fede, il 28 ottobre affronterà il dibattimento a Pavia. La presunta vittima: “Dopo 33 anni si apre uno spiraglio di giustizia”

“Finalmente si apre uno spiraglio di giustizia”. Così Arturo Borrelli, 46enne di Ponticelli, commenta la notizia del rinvio a giudizio notificato ieri mattina a carico di don Silverio Mura, il prete contro cui si batte da decenni, il prete che ha accusato pubblicamente, con tutte le forme possibili (arrivando ad essere ascoltato da Papa Francesco) di essere il suo aguzzino. Il dibattimento si aprirà il prossimo 28 ottobre al tribunale di Pavia. Era il 2010 quando Arturo Borrelli denunciò l’inferno vissuto per mano del prete. Un inferno iniziato nel 1988 e durato tre anni, quando ne aveva 13 e fino ai 16, fatto di “due, tre molestie alla settimana”, dopo “averlo adescato a scuola”, racconta Borrelli. Dopo la denuncia, don Mura sparì nel nulla. Un anno e mezzo dopo, Borrelli si rivolse alla rete L’Abuso, associazione dei sopravvissuti agli abusi sessuali del clero con sede a Savona, che lo aiutò a portare il caso alla ribalta. Don Mura fu trovato a insegnare religione nell’istituto alberghiero ‘Carmine Russo’ di Cicciano. Era il 2012, la reazione di Borrelli fu di choc e sconforto. Sapere don Saverio fosse a pochi chilometri da Ponticelli gli fece rivivere l’incubo. Psicofarmaci, attacchi di ansia e di panico: forse è proprio così l’inferno. Poi il prete sparì di nuovo nel nulla. “Come se si fosse volatilizzato – commenta Francesco Zanardi, presidente e fondatore della rete L’Abuso –. Venimmo a sapere che si trovava in una casa di riposo con la madre che aveva problemi di salute. Poi, quando la mamma morì, don Mura fu trasferito a Montù Beccaria, in provincia di Pavia”. Era ospite della Congregazione dei missionari della Divina Redenzione. Ma a girare sulle colline dell’Oltrepò Pavese chiedendo del prete, di don Mura nemmeno l’ombra. Già, perché nel paesino di poco più di 1500 anime, il sacerdote c’era, ma sotto falso nome: si faceva chiamare don Saverio Aversano. “Un prete che dal Sud viene trasferito al Nord con un nome fasullo non può che rappresentare un pericolo”, aggiunge Zanardi, che ieri ha ricevuto presso la sede della sua associazione la citazione in qualità di testimoni e consulenti tecnici. “Sono contento del rinvio a giudizio – commenta ancora Borrelli –. Nessuno merita di vivere il mio calvario. Sarò felice quando saprò che non potrà più accadere. Non deve succedere mai più che un bambino sia costretto ad affrontare ciò che ho vissuto io”. Borrelli non è il solo: quando trovò il coraggio di accusare il prete, si fece avanti anche un’altra persona, un altro ragazzo cresciuto a Ponticelli, Raffaele Esposito, che nel maggio di due anni fa sfilò in un corteo al fianco di Arturo in forma di protesta contro l’assoluzione decisa due mesi prima dal tribunale ecclesiastico di Milano nei confronti del sacerdote.

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