Dl aiuti: Draghi stoppa deroga a tetto stipendi, dietrofront partiti tra le polemiche

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Mario Draghi

ROMA – Dopo poco più di 24 ore torna il tetto di 240mila euro agli stipendi per i manager pubblici. Il “forte disappunto” manifestato da Mario Draghi dopo l’ok del Senato alla deroga per le figure apicali di forze dell’ordine, organismi militari e Pa, si tramuta prontamente in un emendamento soppressivo dell’articolo 41 bis del decreto aiuti che contiene la novità.

L’inquilino di palazzo Chigi – dopo essere andato su tutte le furie, raccontano i suoi – prende in mano l’iniziativa e decide di intervenire “immediatamente” per abrogare la norma. Mentre i partiti si affrettano a rimpallarsi le responsabilità il premier sente Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica condivide “l’inopportunità” della scelta fatta dal Parlamento, visto anche il momento di difficoltà che vivono famiglie e imprese a causa degli aumenti legati alla crisi energetica. La “sintonia” tra i due è, ancora una volta, “assoluta”, raccontano da palazzo Chigi.

Dopo la proposta di modifica annunciata dal Governo, tutte le forze politiche scelgono di depositare propri emendamenti che vanno nella stessa direzione. I cellulari dei senatori, tornati sui territori per la campagna elettorale dopo la giornata trascorsa ieri a palazzo Madama, cominciano a squillare o a riempirsi di messaggi. Cambiando il decreto aiuti bis alla Camera, infatti, servirà una terza lettura al Senato: “Dobbiamo tornare a Roma a votare”, la voce che rimbalza da un collegio all’altro.

Un’ipotesi di accordo avallata da palazzo Chigi prevede che l’emendamento alla fine non si voti a patto che le forze politiche all’unanimità decidano di approvare un ordine del giorno che dispone la soppressione dell’articolo nel Decreto Aiuti Ter. La campagna elettorale, però, non lascia troppi margini per patti e strette di mano. Alternativa annuncia agli altri gruppi che depositerà comunque un emendamento soppressivo della deroga al tetto.

Il M5S dice chiaro che non potrà non votarlo. Si decide allora di approvare in commissione la proposta di modifica del Governo. Tutti i partiti votano a favore e riparte la corsa, questa volta a intestarsi il merito dell’operazione. Il primo a farlo è Giuseppe Conte. L’ex premier rivendica di non aver votato l’articolo (i pentastellati si sono astenuti insieme a Lega e FdI) e attacca: “La nostra determinazione paga: il Governo è tornato sui suoi passi e ha appena annunciato di voler cancellare la norma che alza i megastipendi dei dirigenti di Stato. Meglio tardi che mai”, scrive su Twitter.

L’emendamento incriminato, è la linea del leader M5S, aveva il parere positivo del Governo. Dall’esecutivo però respingono le accuse al mittente. Il ministro D’Incà era tra coloro che gestivano il dossier e quindi era informato e in più – è il ragionamento – il disco verde è arrivato dal sottosegretario Freni, uomo della Lega che di sicuro non ha sentito Draghi o palazzo Chigi. Quanto all’ok del Mef, viene sottolineato, riguardava soltanto l’aspetto tecnico delle coperture finanziarie.

“Approfittando dell’urgenza c’è stato un classico, e trasversale, assalto alla dirigenza ma per Draghi non era assolutamente accettabile”, è la linea. Anche Enrico Letta plaude all’iniziativa messa in campo da Draghi. “Bene la posizione del governo”, scrive su Twitter. Conte, però, coglie l’occasione per scatenare un nuovo attacco nei confronti degli ex alleati. “Eppure l’avete votato, Enrico. Un bel tacer non fu mai scritto”, accusa.

La replica dei dem è affidata al ministro del Lavoro Andrea Orlando: “Giuseppe, ci avete messo più di due anni a cambiare i decreti Salvini su nostra pressione. Noi poche ore per chiedere una correzione ad una norma sottovalutata e non voluta da noi. Capisco la campagna elettorale, però…”, mette nero su bianco, mentre i dem a palazzo Madama sottolineano come anche il M5S in commissione abbia votato la modifica senza avere nulla da eccepire.

Domani l’aula della Camera dovrà votare il testo così come modificato dalla commissione Bilancio, poi il decreto aiuti bis tornerà al Senato dove è atteso per martedì 20. L’aula di Montecitorio dovrà anche esprimersi sulla relazione sull’aggiustamento di bilancio. Incassato l’ok per utilizzare i 6,2 miliardi derivanti dall’extra gettito contro il caro bollette, il Governo, nella giornata di venerdì, varerà il decreto aiuti ter.(LaPresse)

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