Elezioni, i ‘centristi’ a un bivio: compattarsi o sparire

Foto Lp
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NAPOLI – La caduta del governo ha messo spalle al muro i moderati. Il centro si stava riorganizzando, stava cercando un’identità nuova da proporre agli elettori, ma le elezioni il 25 settembre sono una strettoia che costringe a decisioni rapide, ad azzerare le incertezze. E la legge elettorale, che premia le coalizioni soprattutto per quanto riguarda la corsa ai seggi assegnati nei collegi uninominali, è un freno enorme per l’area centrista. In Campania i renziani stanno valutando la situazione e Luigi Di Maio proprio da Nola annuncia che “al di là dei nomi, quello che si va definendo a livello nazionale è sicuramente un’area di unità nazionale che si contrappone a chi ha fatto cadere questo Governo. Si contrappone sicuramente a Conte e Salvini, ma si contrappone pure a una destra che in questo momento ha scommesso per far cadere questo governo”. Naturalmente il ministro degli Esteri, a capo di Insieme per il futuro che ad oggi è un gruppo parlamentare senza alcuna velleità di consenso alle urne, chiude la porta anche all’alleanza con i suoi vecchi amici del Movimento 5 Stelle, al momento allontanati anche dall’alleanza col Pd. E il campo largo dei centristi potrebbe andare in fumo proprio a causa dei veti incrociati. Carlo Calenda con la sua Azione non è intenzionato a far parte di una coalizione che “va dai Verdi a Di Maio”. La sua tentazione è quella della corsa solitaria convinto di poter comunque raggiungere l’8% e conquistare seggi tramite la ripartizione proporzionale. Primo veto. Poi c’è Matteo Renzi, che insiste come gli altri sulla necessità di portare avanti la cosiddetta ‘Agenda Draghi’. Ma un nuovo abbraccio col Pd potrebbe essere fatale ai dem, con Calenda i rapporti non solo ottimi, con Di Maio il disgelo è recentissimo e rapporti positivi può vantarli solo con coloro che stanno scappando a gambe levate da una Forza Italia a trazione talmente leghista da poter formare il gruppo unico con Matteo Salvini. Non basta di certo a Italia Viva per dirsi tranquilla. E allora l’ex sindaco di Firenze sta a guardare, aspettando che sia il Pd a fare la prima mossa. Se i dem sceglieranno il campo larghissimo per provare a contendere quanti più seggi uninominali è possibile, Renzi potrebbe tendere la mano. Altrimenti rischia di ritrovarsi in una situazione di isolamento difficile da sbrogliare e a doversi limitare a inseguire il 3% con la collaborazione di socialisti ed ex azzurri. Con il serio rischio di non farcela. E poi ci sono Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e forse la campana Mara Carfagna, usciti o in uscita da Forza Italia, che sperano di trovare una nuova casa nel grande centro. Allearsi con il Pd per loro sarebbe duro da digerire, ma non sono certo in condizione di porre veti. Il problema è che tra veti e controveti nessuno sembra intenzionato a prendere il timone di questa area politica di cui periodicamente si torna a parlare e che altrettanto ciclicamente resta una pazza e nostalgica idea degli ex democristiani. L’unico elemento davvero comune, che tutti provano a sventolare, è la famigerata ‘Agenda Draghi’. E non basta, non può bastare, anche per un Pd che sta vivendo ore di immensa fibrillazione al proprio interno per trovare una strada. Vincenzo De Luca non esiterebbe a spingere i dem a sposare questa area, lasciando fuori i 5 Stelle e provando a tenere dentro la sinistra, ma senza farsene troppo un cruccio: “Noi ci rivolgeremo a tutti gli italiani con un programma serio che vada in continuità con l’agenda del governo Draghi e rilanci con forza i temi sociali contro la precarietà, lavoro e lotta alle diseguaglianze”, ha detto il figlio del governatore, il deputato uscente Piero De Luca (foto Lp). La maxicoalizione che ha vinto alle Regionali e le Amministrative in Campania, a Napoli, a Caserta, per citare qualche esempio ha ormai perso la presenza dei grillini targati Giuseppe Conte e potrebbe virare al centro. Oppure frantumarsi, col Pd in corsa solitaria per garantire i suoi uscenti e provare a sbaragliare il campo, pur rischiando seriamente di perdere alla fine le elezioni. Pallottoliere alla mano, le forze politiche si interrogano. Il Centro è esattamente a metà tra la rinascita e la sparizione totale. I prossimi 10 giorni saranno quelli delle scelte definitive.

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