Elezioni in Spagna: il proporzionale colpisce ancora

Sulle colonne di questo giornale abbiamo reiteratamente esaminato e deprecato gli effetti negativi del sistema elettorale proporzionale e delle conseguenze dannose che esso determina. Non ha fatto eccezione neanche il caso della Spagna ove si è appena votato per eleggere le Cortes, il Parlamento iberico. Così come accadde in Grecia sei mesi fa, dalle urne è uscito un responso che non consente ad alcun partito di poter godere di una maggioranza in grado di reggere saldamente le redini della nazione. Gli ellenici, dopo tale débâcle, provvidero immediatamente a voltare pagina introducendo il sistema maggioritario che assegnò al leader del centrodestra Mitsotakis la maggioranza per governare con il suo partito Nea Dimockratia. Credo che gli Iberici saranno chiamati, in tempi brevi, a fare analoghe riflessioni. Il verdetto d’altronde è apparso piuttosto chiaro, così come lo fu per Atene: ha vinto il partito popolare con il 33% dei voti. Ben 19 punti in più rispetto alle elezioni tenutesi nel 2019. Battuti i socialisti fermi al 31,7 % dei voti (quattro punti in più della tornata elettorale precedente). In brusco calo il partito protestatario Vox ed i movimenti di impronta regionale. Insomma: per vedere un governo stabile in Spagna occorrerà un compromesso tra i due principali schieramenti oppure, l’alternativa prevede che uno di questi dovrà scendere a patti con la demagogia populista dell’ultradestra o con i “partitini” locali. Vada come vada, in ogni caso non si profila una bella prospettiva. Volendo tornare a noi, va ribadito che il sistema proporzionale colpisce ancora per il semplice motivo – accessibile a tutti – che quel meccanismo esalta le singole identità, frammenta la rappresentanza e diluisce ogni proposito programmatico di poter dare un’impronta precisa e decisa all’azione di governo del vincitore. L’arte del compromesso è una delle specifiche funzioni della politica, spesso salvifica per raggiungere degli scopi. Tuttavia quando il compromesso diventa organico e necessario tra forze dotate di visioni e programmi alternativi, ecco allora che questi diventa una sorta di “palla al piede”. La forza propulsiva e la visione delle principali questioni si frantuma e si finisce per compromettere anche la pratica attuazione del programma; le forze politiche si logorano in un eterno sforzo di compenetrazione reciproca ed il lasciar correre, il non operare, diventa uno strumento per mantenere in piedi la coalizione. Insomma: l’egoismo di rivendicare la propria identità, la peculiare visione della società e dell’economia, delle priorità da affrontare, si logora nella continua mediazione con gli altri e nulla di veramente incisivo viene a compimento. Non è dato sapere quale sarà il compromesso praticabile in Spagna per formare il nuovo esecutivo. Quello che invece appare certo è la nascita di un governo traballante, soggetto alle imboscate parlamentari, vocato per necessità alle mezze misure che rappresentano la negazione del riformismo politico ed istituzionale. Eppure esistono sistemi maggioritari che ben possono conciliare l’identità dei singoli partiti con coalizioni omogenee che si affrontano nel gran segreto dell’urna. La ricetta è semplice: basta disegnare collegi piccoli con liste di tre candidati per schieramento così da garantire la scelta del vincitore che risulterà, a conti fatti, il più votato in assoluto nell’ambito della coalizione individuata dal cittadino come la sua preferita. In tal modo si concilierà il principio che tocca all’elettore scegliere il candidato e la coalizione da mandare al governo, optando per il primo ministro nella persona che rappresenta l’alleanza vincente ed il programma della medesima. I vincoli elettorali sanciti da questo meccanismo di voto non si prestano a patti deleteri e semmai legano gli eletti allo schieramento di appartenenza. Troppo semplice, questo discorso, per non essere compreso dai big della politica di casa nostra, che invece tendono ad incanalare il sistema verso quelle sponde in cui ciascuno può far valere la forza di condizionamento e di ricatto nei confronti del premier di turno. Una deterrenza, questa, che frena costantemente l’azione di governo, rende timida e circospetta ogni buona intenzione che possa realmente cambiare lo stato delle cose, attuare quelle riforme di sistema tanto necessarie al Belpaese che da 70 anni marcia ambiguamente in virtù di una carta costituzionale figlia del compromesso tra forze cattoliche e laiche, liberali e socialcomuniste. La nostra è una sfida epocale che ha bisogno di una forza parlamentare maggioritaria e coesa dietro le spalle. La speranza è che l’Italia impari al più presto la lezione che viene da paesi che ci somigliano nel bene e nel male come Grecia e Spagna.

*già parlamentare
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