Fatti, poche parole e niente social: i primi 100 giorni di Draghi al Governo

Si è concesso qualche battuta con i cronisti, con lo humor un po' british che lo contraddistingue da sempre, ma in generale le parole sono state poche e pesate

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Mario Draghi

ROMA – Venti riunioni del Consiglio dei ministri, sei conferenze stampa, tre comunicazioni alle Camere più un premier time, meno di dieci interventi ad eventi istituzionali, una visita in Libia, il debutto al vertice europeo in presenza a Oporto, una sola dichiarazione estemporanea a margine di un evento – a Parigi qualche giorno fa. Nei primi 100 giorni di governo, che cadono lunedì, il premier Mario Draghi ha applicato il più possibile quel ‘si comunica solo quando facciamo le cose’ che raccomandò ai ministri durante la prima riunione del Cdm a palazzo Chigi, subito dopo l’insediamento, il 13 febbraio.

Si è concesso qualche battuta con i cronisti, con lo humor un po’ british che lo contraddistingue da sempre, ma in generale le parole sono state poche e pesate. E di profili social, per ora, neanche l’ombra: a parlare sono solo quelli istituzionali di palazzo Chigi.

Dall’inizio del mandato ha approvato un solo Dpcm sulle misure anti-Covid – il 2 marzo- illustrato non da lui ma dai ministri della Salute Roberto Speranza e delle Autonomie Regionali Maria Stella Gelmini. Gli interventi successivi, come annunciato, sono stati decreti approvati dal Consiglio dei ministri, non senza discussioni in particolare con la Lega di Matteo Salvini, all’insegna delle “riaperture graduali” e del “rischio ragionato” che hanno portato alla cabina di regia e al decreto in vigore da mercoledì che ha rinviato il coprifuoco alle 23, con uno step intermedio il 7 giugno fino all’abolizione il 21 luglio.

Due i decreti ‘economici’, destinati non a ‘ristori’ ma a ‘sostegni’ all’economia, il primo finanziato con lo scostamento di bilancio chiesto dal governo precedente di Giuseppe Conte, per circa 32 miliardi, il secondo approvato questo giovedì per 40 miliardi con un’ulteriore richiesta di nuovo debito che, Draghi ne è convinto, potrebbe essere l’ultimo con questo trend di uscita dalla pandemia. A fine aprile, dopo una lunga trattativa con l’Europa culminata in una riunione monstre del Cdm, il governo ha approvato la versione fortemente rivista del Pnrr, il piano di ripresa e resilienza che l’esecutivo Conte aveva iniziato a impostare e su cui si era consumato lo scontro con Italia Viva. Un piano da 191,5 miliardi di euro, finanziati attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza, lo strumento chiave del NGEU cui si affiancano 30,6 miliardi di un Fondo complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio.

E’ solo l’inizio del lavoro, perché il Pnrr richiede una serie di provvedimenti normativi per la messa a terra delle varie missioni e un corposo pacchetto di riforme, che toccano, tra gli altri, gli ambiti della pubblica amministrazione, della giustizia, della semplificazione normativa – questo decreto è atteso la settimana prossima – della concorrenza e del fisco. Da fare ce n’è per anni, e a chi vede nel prossimo febbraio – con la corsa al Colle – la possibile data di scadenza del governo, Draghi risponde con un alt: “Trovo estremamente improprio, per essere gentili, che si discuta del Capo dello Stato quando è in carica. L’unico autorizzato a parlare del Capo dello Stato è il presidente della Repubblica”.

(LaPresse)

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