Ghette e bombetta

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

In Italia gli intellettuali contano molto poco, ancor meno se non sono dei “sinceri democratici”, appellativo meritorio che Palmiro Togliatti conferiva agli indipendenti che accettavano di entrare, in quanto tali, nelle liste del Pci. Non a caso il “Migliore”, come i compagni lo chiamavano, negli anni ‘50 del secolo scorso, poteva vantarsi di avere un folto numero di intellettuali aderenti al proprio schieramento politico. L’egemonia culturale della sinistra non ammise mai termini di paragone: chi era fuori da quelle conventicole era semplicemente spacciato, tagliato fuori. Le cose, per fortuna, da allora sono molto migliorate. Tuttavia nel Belpaese non viviamo certamente in un regime che concede spazio e prestigio a coloro i quali sono estranei ai giochi propri della politica preferendo rendere autonomo il loro pensiero e veritiero il proprio dire. Osannati e portati come “Madonne pellegrine” in giro dai chierici di partito nelle kermesse estive, costoro vengono puntualmente accantonati in autunno come si fa con le magliette a mezze maniche. Stiamo vivendo l’era dei partiti “ad personam”, utilizzati come abiti prêt-à-porter per sentire la necessità di un ancoraggio valoriale, senza soverchia distinzione tra centrosinistra e centrodestra. Su quest’ultimo fronte va ricordato ciò che accadde nel 1992, con la fondazione di Forza Italia, il più grande tentativo di rivoluzione liberale con la redazione di un programma avanzato redatto dal fior fiore dell’intellighenzia di allora, con il coinvolgimento non solo di liberali ma anche di liberal socialisti e finanche di convertiti al liberalismo come Lucio Colletti filosofo marxista. Da quell’esperimento avrebbe dovuto nascere un esecutivo in grado di realizzare il più avanzato dei programmi liberali a cominciare dalla riforma della carta costituzionale, della giustizia, del fisco e della burocrazia. Ne scaturì un mosaico del quale si videro realizzati solo alcuni tasselli e quella stessa categoria di intellettuali coinvolta, finì usurata e relegata a ruolo di comprimaria dalla megalomania e dalla miriade di interessi che resero Silvio Berlusconi un anatra zoppa. Insomma, il successo elettorale fu conseguenza più dal messaggio suadente del Cavaliere, dei suoi metodi innovativi di marketing politico, che della realizzazione di un progetto di espansione del liberalismo e delle libertà sottomesse al primato dello Stato padre e padrone. Il potere dell’immagine e del messaggio epidermico e rassicurante fece tabula rasa delle vere questioni da affrontare. Ora ci si riprova con la proposta di un filosofo, Marcello Pera, per un referendum che possa portare all’elezione di un’Assemblea Costituente: un consesso qualificato eletto dal popolo, che in un tempo prestabilito possa sottoporre al Parlamento un’ipotesi di riforma della seconda parte della Carta Costituzionale. Per intenderci, quella che riguarda l’organizzazione dello Stato, senza toccare la parte dei diritti e delle libertà garantite ai cittadini. Le argomentazioni a sostegno sono validissime: un Parlamento ormai paralizzato, reso ininfluente dal Governo che produce la quasi totalità delle leggi attraverso i decreti che emana, rende tale riforma non solo necessaria, ma anche vitale. Occorre una forma nuova di esecutivo, che preveda l’indicazione vincolante del voto se non l’elezione diretta dei vertici dello Stato per sottrarli al mercimonio dei partiti. Un bicameralismo rimasto perfetto ed inutile, causa della egemonia governativa, figlia della necessità di adeguarsi alla velocità con la quale oggi occorre governare, va senz’altro cambiato e con esso un apparato dello Stato in parte inefficiente ed in parte delegato a venti repubbliche chiamate Regioni trasformate in governatorati e potenti centri di spesa e di deficit; insomma, occorre la revisione del ruolo e della funzione dello Stato e del suo ruolo paternalistico ed imprenditoriale; il rilancio della libertà imprenditoriale oggi sottoposta al vincolo anacronistico del dover realizzare il bene pubblico. Questi e tanti altri sono i motivi di una revisione critica di un’ anacronistica carta costituzionale. L’appoggio potrebbe venire dagli stessi politici che collaborarono per il referendum sulla giustizia. A ben vedere potrebbe essere un’ulteriore occasione per ingentilire ed arricchirà di tematiche culturalmente elevate la politica del Centrodestra. Non v’è certo da fare paragoni con le politiche di Salvini e Meloni e quelle di altre deprecabili epoche passate, ma sarebbe bene ricordare che dopo la marcia su Roma, Mussolini dovette misurarsi con i Savoia e le regole vigenti. Quindi non gli servirono più gli stivali e l’orbace, con i quali aveva guidato la Marcia su Roma. Per essere uomo di governo, il Duce dovette mettere da parte gli scalmanati e la camicia nera per indossare il frac, con tanto di ghette e bombetta.

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