Il latte del rinoceronte

Molti e drammatici sono gli eventi ai quali ci capita di assistere nel corso della nostra pur breve esistenza. Molti di questi ci coinvolgono personalmente: lutti e dolori, sogni infranti, disillusioni e vane aspettative, ma anche gioie, piaceri e soddisfazioni. Vi sono poi eventi che non ci riguardano personalmente, se non come facenti parte della società nella quale viviamo. Essi ci toccano come soggetti accomunati dal “contratto sociale” che abbiamo accettato quando altri hanno scelto di metterci al mondo e che, necessariamente, abbiamo dovuto poi confermare una volta entrati nell’età matura e della consapevolezza. Se i drammi personali ci scuotono nell’intimo e ci condizionano dal punto di vista soggettivo, quelli sociali ci avvertono sulle cose verso le quali bisognerebbe essere intesi.

“Intendere”, si badi bene, significa, in questo caso, avere un’opinione, assumere cioè un atteggiamento sulle vicende del mondo, coinvolti come cittadini avveduti e partecipi, in qualche misura, più o meno grande, agli “eventi” che formano la storia dell’umanità. Mancando questo interesse, si corre il rischio di trasformare l’esistenza stessa in mera quotidianità, grigia e monotona abitudine di dover sopravvivere ai giorni che ci sono concessi di vivere. Se questa riflessione ha una verità di fondo, ne consegue che non sono tanto gli eventi ai quali assistiamo a dover essere catalogati come eccezionali oppure ordinari, quanto il nostro atteggiamento verso i medesimi. In parole povere: far parte dell’umanità consapevole, esercitare i diritti di cittadinanza, godere della libertà e della facoltà di decidere, significa avere il dovere di farsi coinvolgere e di partecipare agli eventi sociali, economici e politici, misurandoci con la grandezza e la miseria della umanità.

A che serve il diritto di voto se non lo esercitiamo, la libertà di parola se non ci esprimiamo, il poter declinare una serie di facoltà individuali (inviolabili ed indisponibili a qualsiasi potere costituito) se non li sfruttiamo? Insomma, se non diventiamo dei soggetti attivi nel corpo sociale, a nulla servono le conquiste che l’uomo ha saputo riconoscere ed ottenere, non senza lacrime e sangue, nel corso dei secoli. Quanta gente di vostra conoscenza e voi stessi, riconoscete in questo modo d’essere – a ciò che ciascuno possa dare alla propria vita – un senso compiuto? Quanti si sentono realmente convinti di poterne fare un uso pieno e degno come cittadini e come essere umani? Per quanto ottimisti si voglia essere, non credo che il numero di persone individuate possa risultare molto elevato. Se questo è vero, ben si comprende come per una larga parte degli umani le tragedie impersonali ed i drammi sociali spesso cadano nel dimenticatoio pronti a riproporsi tal quali in appresso.

Ormai il livello di consapevolezza sociale, quello dell’istruzione e della conoscenza, è molto basso e spesso l’opinione pubblica si forma sul sensazionalismo del “sentito dire” che, come è noto, rappresenta la peggiore forma di apprendimento. Una società liquida e mutevole, aggrappata al progresso tecnologico ed alle sue comodità, vicarianti delle manchevolezze umane, in termini sia culturali che pratici, non ha più radicamento di valori e di esperienze. Poco interessano le cause prime e vere degli eventi, ci si sofferma principalmente sui clamori della cronaca, anche quella più banale. Usiamo tutti i giorni il telecomando per scegliere tra una marea di programmi di ascolto che ci vengono proposti, tra una réclame e l’altra, dalla società consumistica e dalle sue mille illusioni. Usiamo le tante opportunità, dirette e veloci, che ci vengono offerte dai social network, interagendo con tanti contatti elettrici ribattezzati assurdamente e frettolosamente “amici”, nella sempre più progressiva solitudine esistenziale.

Siamo nelle condizioni di cancellare tutto ciò che non ha alcuna ricaduta d’interesse del lato edonistico, oppure risvolti pruriginosi, sensazionali, senza alcun rispetto per quel che di buono e di profondo qualcuno ci stia proponendo. Basta un click, è sufficiente cambiare canale, per cancellare le cose. La scuola accoglie e parifica senza più istruire, trasformando la propria missione educativa in missione sociale. Se la famiglia ha perso i canoni ed i valori tradizionali, se il relativismo etico ci rende tollerabile tutto e di più, c’è da chiedersi dove si possa trovare il discrimine tra bene e male, buono e cattivo, etico ed immorale! Se sarà questa tipologia di persone ad ergersi a giudice distratto di chi ci governa, quale sarà la loro politica e quale, soprattutto, il governo che ne scaturirà? Ecco allora che si profila sempre più necessario poter bere il “latte del rinoceronte”, quello indicato da Federico Fellini nel suo film “La nave va”. Allenare la coscienza a convivere con le cose più assurde e mostruose, abbeverarsi ed assuefarsi alle tragedie quotidiane. Quel che non si riesce a cambiare in bene, alla fine, ci costringerà ad assuefarci al male.

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