Il nuovo capo della Squadra Mobile Alfredo Fabbrocini: “Napoli era il mio obiettivo, per la mia gente non voglio sbagliare”

"I giovani? Molti sono ammalati di malavita”

Napoletano di nascita, 47 anni, cresciuto a Posillipo, il suo quartiere. Poi la scelta di entrare in polizia e l’inizio di una carriera luminosa. Il suo ultimo incarico è stato quello di direttore della II divisione del Servizio centrale operativo (lo Sco), sezione che si occupa delle attività investigative svolte dalle Squadre mobili e dalle squadre di Polizia giudiziaria anche se non attinenti al crimine organizzato. Prima ancora a capo delle squadre Mobili di Parma, Foggia e Cagliari. Capelli lunghi e barba nera, investigatore capace e mediatico. E’ questo il profilo di Alfredo Fabbrocini, il primo dirigente nominato capo della squadra mobile di Napoli dopo il trasferimento del suo predecessore Antonio Salvago.

Torna nella sua città dalla quale mancava da quanto?

“Ho lasciato la mia città nel 1993 ed è la prima volta che lavoro a Napoli”.

Venire a Napoli era un obiettivo?

“Dal primo giorno che sono entrato in polizia, forse addirittura da prima. Ma mi sono sempre ripromesso di farlo solo a determinate condizioni, ovvero dopo aver accumulato la giusta esperienza, o ritenendo di averla accumulata, per poter svolgere un compito che non è solo difficile. Quando si lavora nella propria città, per la propria gente non si vuole mai sbagliare”.

Parla con calma Fabbrocini, ponderando. Ma quando risponde a una domanda non è mai banale. Nel suo curriculum operativo ci sono due fiori all’occhiello, l’operazione ‘Romanzo Criminale’ a Manfredonia che portò alla cattura di un emergente, Francesco Giannella (poi condannato all’ergastolo), e della sua banda composta da giovanissimi, alcuni persino minorenni. La seconda operazione riguarda l’arresto di Giuseppe Mastini, Johnny lo Zingaro all’anagrafe criminale, malavitoso che ha attraversato gli anni Settanta e Ottanta, sfiorato persino nelle indagini sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini.

Era evaso lo Zingaro, dopo che gli era stato concesso, in detenzione in Piemonte, di occuparsi di pulizie presso la scuola di polizia penitenziaria di Savona. “Un personaggio da romanzo, ma pur sempre un assassino”. Così lo definisce Fabbrocini. Adesso è a Napoli, un città che di romanzi criminali ne ha scritti tanti e multisfaccettati, in prima linea durante un momento storico estremamente complesso, quello dell’emergenza epidemiologica.

Napoli è la città delle stese, delle babygang, della camorra. Cosa si aspetta?

“Analizzare e combattere la criminalità minorile verrà nel tempo. A Foggia, così come a Napoli ci sono tanti giovani ‘malati di malavita’. Ho vissuto la realtà foggiana in un momento storico particolare. In quel periodo quella terra era stata lasciata ai margini. Una terra meravigliosa che da sola a lottare. Lo Stato è poi tornato lì, ma non solo con l’attività repressiva. Con il sociale, con la cultura. Napoli è un discorso diverso, è stata sempre al centro della storia di questo paese anche, ahimè, da un punto di vista criminale. Pur avendo passato 23 anni della mia vita a combattere le mafie di altri, anche se mi si sono irrobustite le spalle, nulla ti prepara davvero ad affrontare la realtà napoletana”.

La lotta al traffico di stupefacenti è tra le sue specialità…

“La droga accomuna i popoli, questa comunanza può passare per Napoli come per le altre rotte. Non c’è luogo al mondo dove il business della droga non sia tanto remunerativo. Ma non c’è solo la droga. Ho lavorato in indagini di grande respiro, come sulla mafia nigeriana, sul progetto ‘pusher’, finalizzato a contrastare la criminalità straniera con l’uso di agenti sotto copertura, mi sono occupato di immigrazione clandestina”.

Non solo, aggiungiamo. Nel suo curriculum c’è anche la cattura di una serie di latitanti. Come Giancarlo Massidda, finito in manette mentre il suo nome era inserito tra i 100 ricercati più pericolosi. Sul suo capo pendeva una condanna a 23 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti ed evasione.

La polizia lo rintracciò nei pressi del comprensorio Country Fincas de Iraola. Sul posto c’era anche il ‘Serpico’ Fabbrocini. E ancora, la cattura in Spagna nel 2018 di Fausto Pellegrinetti, 76 anni, appartenente alla nuova banda della Magliana e ricercato da oltre 15 anni. L’arresto fu la l’epilogo di un’indagine durata circa due anni.

E poi c’è stato Johnny Lo Zingaro. Che tipo era?

“Una persona feroce. Quando l’abbiamo preso di quella ferocia era rimato poco, si era tramutata in disperazione. Non voleva tornare in carcere, dove aveva trascorso la maggior parte della sua vita. Ma con lui avevamo un debito d’onore, perché aveva ucciso un poliziotto e il fratello di quel poliziotto lavorava con noi a Roma”.

A dargli la notizia di essere diventato il nuovo capo della Squadra Mobile di Napoli è stato Francesco Messina, il Direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato.

Cosa ha fatto appena si è insediato?

“Era sabato pomeriggio. Sono entrato nella mia stanza, ho chiuso la porta e mi sono preso dieci minuti guardando dalla finestra per assaporare il momento”.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome