La fine di un mito

La morte di Elisabetta II, regina d’Inghilterra, pur prevedibile per l’età avanzata, coglie il mondo di sorpresa. Non si tratta solo di cordoglio ma di sgomento per i milioni di persone che in lei vedevano rappresentato non solo il Commonwealth, l’insieme degli stati un tempo legati all’impero britannico e che oggi hanno mantenuto legami commerciali ed economici con la corona di Londra, ma per l’intero consesso delle nazioni libere. La sovrana se n’è andata in punta di piedi, con la discrezione e l’aplomb di regalità che furono il tratto distintivo del suo regno durato oltre settant’anni. Per la società occidentale, quella parte di mondo nel quale le libertà ed i diritti civili sono sacri ed indisponibili innanzi a qualsiasi autorità, con la scomparsa di Elisabetta viene meno un rassicurante esempio di come un regime monarchico parlamentare possa coniugare il privilegio dinastico del regnante con il rispetto che si deve al popolo ed alle istituzioni che lo rappresentano. Elisabetta ha sempre convissuto con un’aura di compostezza e di misura dando, al tempo stesso, la sensazione di rappresentare, senza cedimenti e compromessi, il potere di controllo e di vigilanza sulle istituzioni inglesi. Nelle sue mani hanno giurato quindici primi ministri, da Anthony Eden a Margaret Thatcher fino all’attuale premier Linda Truss. Sposò l’uomo che amava, il principe Filippo che però seppe sempre tenere un passo indietro a ricordare, al mondo, chi aveva realmente e saldamente nelle proprie mani, le redini del regno. L’anziana regina ha vissuto ore liete e tragiche ed in entrambi i casi non ha mai dato l’impressione che i convincimenti e le umane passioni potessero prevalere sui propri doveri. In Gran Bretagna i monarchi regnano ma non governano: è il popolo che sceglie; la monarchia garantisce il rispetto di quella volontà. L’esponente di casa Windsor dava l’impressione che fosse sempre ben cosciente del primato delle leggi, delle regole e delle tradizioni come testimonia l’Habeas Corpus, la norma che sancisce l’inviolabilità e la sicurezza dei prigionieri e degli indiziati di reato, ovvero, per dirla con altre parole, l’imperio delle norme e dei diritti intesi come argine sull’assolutismo dei sovrani. Fu lo stesso per la carta dei diritti dell’uomo, il “Bill of Right”, ove libertà e responsabilità camminano di pari passo garantiti dal sovrano e dalle costumanze etiche che li devono contraddistinguere. Nel corso del suo lungo regno Elizabeth Alexandra Mary è stata testimone e protagonista della storia del mondo, incontrando tutti i più grandi uomini che quella stessa storia avevano contribuito a scriverla. Fu coeva di Stalin, Mao e Truman fino a Mandela. Conobbe e frequentò grandi Papi come Pio XII e Giovanni XXIII. Era anche a capo della chiesa anglicana, creata dal suo avo Enrico VIII per poter divorziare dalla regina Caterina d’Aragona e sposare una dama di corte, Anna Bolena. Proprio come il suo celebre avo anche lei aveva il diritto di nominare i vescovi scelti nell’ambito della chiesa inglese. Tuttavia non ha mai voluto rimarcare ed esacerbare le differenze con i cattolici, anche quando le faide religiose insanguinavano l’Ulster, nell’Irlanda del Nord, attraverso gli attentati dei terroristi dell’Ira. Amata e rispettata dal suo popolo nonostante l’aspetto imperturbabile in pubblico, il gesto misurato e la regalità di un comportamento che non è mai scaduto nell’albagia, seppe resistere con decoro e riservatezza anche agli scandali provocati da membri della sua stessa famiglia reale, uscendone, paradossalmente, più popolare e benvoluta. Non ha mai abdicato in favore del figlio Carlo, ora re d’Inghilterra con il titolo di Carlo III, ancorché l’età fosse avanzata, ben consapevole che la sua figura si era istituzionalizzata oltre il prestigioso titolo che portava. In un mondo sempre più sbracato ed indisponente Elisabetta II rappresentava la tradizione ed il perpetrarsi di uno stile inconfondibile ed incomparabile. La vasta ed unanime commozione che si va manifestando è la testimonianza che la stima per lei aveva travalicato i confini del suo regno. Viene alla mente quello che Re Farouk d’Egitto, noto ed incallito giocatore diceva di lei: “nel mondo resistono solo cinque re, il re di cuori, di picche, di quadri e di fiori e la regina d’Inghilterra”. Come tradizione indossava graziosi e variopinti cappellini che facevano pendant con i suoi eleganti soprabiti. La sensazione che in queste ore anima le genti di tutto il mondo è quella di una perdita comune: la fine di una favola bella, di un modo di governare ineccepibile e rassicurante. In fondo come succede alle diatomee nell’acqua stagnante, che si chiudono al calare del sole, la morte di Elisabetta ci lascia spogli di una bellezza che rende ancor più triste la palude di un mondo che da oggi appare ancora più malinconico e desolante.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome