La foresta di Silvio

Vincenzo D'Anna

Nomen omen, così recita un vecchio proverbio latino: il nome è il presagio dell’uomo. Ora, “Silvio” significa selva, foresta. Un accostamento naturale quello che balza alla mente allorquando il cavalier Berlusconi annuncia di voler inserire nel programma del suo partito la messa a dimora di un milione di alberi. Il personaggio è scaltro oltre che geniale, quando ci si mette. Fa largo uso di sondaggi e di focus statistici prima di aprire bocca. In materia di sortite elettorali, non lascia mai nulla all’improvvisazione. Memorabile fu quella sull’abolizione dell’imposta immobiliare (IMU) sulla prima casa ed i terreni degli italiani, argomento con il quale, qualche anno fa, sbaragliò la concorrenza. Si tratta di proposte tarate sul gradimento che i sondaggi rilevano presso l’opinione pubblica e come tali scientemente assunti per attirare l’interesse degli elettori. Silvio è maestro in queste cose: basta leggere le corbellerie assortite che si postano, in queste ore, sui social per capire che la probabilità che i cittadini abbocchino ancora è molto alta. Altra sensazionale proposta è quella, riveduta e corretta, di aumentare le pensioni in una Nazione, la nostra, in cui la popolazione si caratterizza per l’età avanzata e la pletora di pensionati che la compongono. Insomma: ancora pillole indorate che Berlusconi propina agli elettori trattandoli per quelli che sono sempre stati: opportunisti e smemorati. Tenuto conto che un milione di alberi a dimora sono una spilla nel pagliaio e che la prima voce di spesa nel bilancio statale è rappresentata dalle pensioni, che assorbono circa il 35 percento dell’intera spesa statale, ben si comprende come le proposte più che demagogiche siano perfettamente inutili se non dannose per l’erario. La vera notizia è l’ambita candidatura per un seggio in Senato del leader di Forza Italia ad 85 primavere e varie vicissitudini fisiche alle spalle. Candidarsi a quella età per il Cavaliere  significa due cose: prendersi una rivincita sulla ignominiosa vicenda che ne decretò la decadenza da Palazzo Madama, grazie alla retroattività della norma contenuta nella legge Severino, ribadire che il padrone assoluto ed incontestato in Forza Italia è sempre lui. Purtroppo tale prospettiva è gravida anche di  particolari negativi, sul piano generale della politica italiana, quali l’affermarsi di una gerontocrazia che non trova riscontro negli altri Paesi occidentali ove i leader in campo sono molto più giovani e pimpanti, a differenza di quanto accade in casa nostra,. Dalle nostre parti l’inamovibilità dalla vita politica appare scontata, soprattutto per quanti, magari pur sconfitti, restano in campo per prendersi un’eterna rivincita. E’ quest’ultima condizione che ha fatto disperdere buona parte dei pregi contenuti nella legge elettorale maggioritaria impedendo di fatto il rinnovamento continuo della classe politica italiana. Altrove col maggioritario chi perde va a casa, da noi coltiva  rivincite. A corollario di questo ambaradan ci sarebbe da valutare come i partiti personalizzati oltre a non essere più movimenti che rappresentino un retroterra di storia e di valori politici, essendosi trasformati in soggetti che non selezionano la classe dirigente col metodo democratico ma la cooptano dall’altro, finiscano per ingessarsi intorno al titolare della ditta. Insomma: una specie di monarchia costituzionale non dichiarata nella quale le persone sopravanzano i valori ed i metodi della democrazia politica. Una condizione ideale per un popolo di guelfi e ghibellini ai quali piace la faziosità ed il tifo, che sposa le cause degli uni o degli altri per moto di simpatia personale, che poi è l’esatto contrario della vera politica. Ma tant’è! Quel che appare ancor più preoccupante sul versante del centrodestra, sono i nomi che circolano per la guida del governo prossimo venturo. Tra i più temibili, sotto il profilo della insipienza e dell’inadeguatezza, appare quello di Antonio Taiani. Pensavamo di averle viste tutte, dopo che Giovanni Toti ha  fondato un partito, ma ci sbagliavamo. D’altronde se l’eredità dei cattolici liberali di Luigi Sturzo ed Alcide De Gasperi è finita nelle mani di Berlusconi e dei cespugli vari di contorno, il governo può finire anche nelle mani di un Tajani. Per fortuna che a sinistra stanno frettolosamente montando la macchina della faziosità e della cosiddetta diversità per produrre la solita crociata pseudo moralistica per rinserrare le fila ed un giornale come Repubblica titola ad otto colonne “O noi o la Meloni”. Insomma da un lato la vacuità delle proposte del centrodestra, dall’altra la minestra riscaldata del Fascismo incombente. Tornando alla “selva” proposta da Berlusconi sovviene il motto che recita: fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce…

*già parlamentare

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