La nazione che arrestò se stessa

Donald John Trump, dal 2017 al 2021, è stato il 45º presidente degli Stati Uniti. Uomo ricco, dalla vita controversa per non dire avventurosa, dotato di un bagaglio ideologico abbastanza discutibile e di un linguaggio crudo, spesso fuori dalle righe, rappresenta quello che gli americani chiamano “Tycoon”, vale a dire un imprenditore ricco e potente con inclinazioni anche un po’ autoritarie. Con un patrimonio stimato in 2,5 miliardi di dollari, l’ex inquilino della Casa Bianca è stato spesso coinvolto in vari giudizi per infrazioni alle leggi. Per lo più si tratta di evasioni fiscali e, in ben sei casi, anche di bancarotta. Almeno questo è quanto di Trump si legge sui social network dove la biografia del business man a stelle e strisce, lo descrive in maniera impietosa e a dir poco controversa. La presidenza di Donald è stata caratterizzata, non a caso, per le idee sbrigative e spesso autoritarie del leader repubblicano in una nazione ove il potere e la responsabilità finiscono, alla fine nelle mani e nelle decisioni assunte dal presidente. Un modello istituzionale, quello statunitense, che conferisce al Senato la potestà di varare le norme e di ratificare quelle proposte direttamente dal premier. Insomma come è lapidariamente spiegato, in un quadretto affisso alle pareti della stanza ovale dell’uomo più potente al mondo, “lo scaricabarile (delle responsabilità e del potere decisionale) finisce qui”! In quell’ufficio ed in quelle mani. Uomo dal bagaglio culturale approssimativo e di indole lontana dall’azione ponderata e riflessiva che pure si addirebbe ad una carica istituzionale, nel corso del proprio mandato Trump ha assunto un modo di agire che talune volte ha messo in difficoltà la diplomazia ed i vasti interessi americani nel mondo. Inviso ai politici di mestiere ed agli altri rappresentanti del potere elettivo, l’ex presidente gode tuttavia di un vasto seguito in quella parte di popolazione insofferente alle lungaggini ed ai misteri del potere governativo. Perlopiù si tratta di gente di basso grado d’istruzione, che ha saputo portarlo in auge come esponente del partito Repubblicano. Il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, il disimpegno nella regione medio orientale con l’abbandono della fragile democrazia in Iraq ed il raffreddamento dei rapporti con Egitto e Turchia, fino all’apertura di un estemporaneo dialogo, più spettacolare che reale, con il dittatore Nord Coreano Kim Jong-un, sono, volente o nolente, suoi “traguardi”. Lo stesso vale per le frizioni con i paesi della Nato per l’imposizione ai partner della richiesta di contribuire maggiormente alle spese militari della medesima. In politica interna il “Tycoon” ha  saputo dare una forte stretta all’immigrazione con la costruzione di un muro e una più massiccia vigilanza al confine con il Messico. A lui si deve però anche il taglio delle tasse e la scelta di una politica populista che, condita con le sue parole, ha aizzato quella parte della nazione meno acculturata, incline al complottismo ed al negazionismo anche nel periodo della pandemia di Covid. Furono proprio questi esagitati che, all’indomani della contestata elezione di Joe Biden, occuparono il Campidoglio, sede del Senato americano, devastandolo e chiedendo l’annullamento del voto e la riconferma di Trump. Un vulnus per la democrazia americana orgogliosa delle sue istituzioni e della loro storia. Insomma si ebbe l’impressione che “the Donald” fosse diventato, dopo la sconfitta, quello che gli statunitensi chiamano “inconsolabile perdente” e che pur di far valere le proprie ragioni fosse disponibile a mettersi le istituzioni sotto i piedi. Per dirla con altre parole: non un leader politico responsabile bensì un cowboy che affrontava da solo sia l’opinione pubblica e la stampa più avveduta, sia le sacre sedi della democrazia. Tuttavia per quanto strambo nei modi e fuori dall’osservanza pedissequa delle regole politiche, sia pur sconfitto da Biden, Trump vanta oggi un folto seguito di elettori. Non sfuggirà al lettore che il pericolo di volerlo eliminare per via giudiziaria c’è tutto, non potendo altrimenti archiviarlo come una parentesi, un incidente di percorso. Ed ecco insorgere ben quattro accuse contro di lui per aver tentato di ribaltare l’esito delle elezioni presidenziali del 2020, a mezzo di cospirazioni ed ostruzioni. L’ex presidente degli Stati Uniti si è dichiarato ovviamente non colpevole, e subito è comparsa un’altra tardiva e sospetta accusa: quella di aver presumibilmente corrotto l’attrice porno Stormy Daniels, con cui aveva avuto una relazione nel 2016, comprandone il silenzio a suon di bigliettoni. Dalla Florida è arrivata poi ancora un’altra accusa, anch’essa tardiva e sospetta: quella di aver preso e conservato illegalmente documenti riservati della Casa Bianca! Insomma un film già visto in Italia per eliminare taluni politici scomodi. Trump si è consegnato in carcere ed è uscito su cauzione, vi è arrivato scortato come un…Presidente! E così la grande America, scopertasi anch’essa a caccia  di gogna e di giustizia politica, ha finito per dare l’impressione al mondo di aver arrestato se stessa!

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