La nemesi energetica

Vincenzo D'Anna

Le agenzie di stampa diffondono, con sempre maggiore frequenza, notizie su manifestazioni di protesta inscenate da varie categorie contro il caro bollette. In un paese manifatturiero come il nostro, con poche risorse naturali, i costi di produzione lievitano in ragione dell’incremento di quelli dell’energia utilizzata con non poche aziende costrette a sospendere l’attività per la materiale impossibilità di poter far fronte agli esosi aumenti di questi ultimi mesi. Non passa giorno che le cronache non registino i “mal di pancia” di qualche piccola e media azienda, quelle, per intenderci, che costituiscono la spina dorsale dell’apparato produttivo dell’Italia. I fattori che hanno determinato questo stato di cose sono molteplici, e risiedono principalmente nella difficoltà di approvvigionamento del gas, nelle turbative del mercato scatenate dalla guerra in Ucraina, nella triste eredità di una politica energetica che ha molto indugiato sul reperimento di fonti a basso costo. A cominciare dalla rinuncia alla costruzione di centrali nucleari più sicure perché di ultima generazione, fino al lento incremento della produzione di energie green come quella eolica, geo termica e radiante. Per anni le associazioni ambientaliste hanno impedito qualsivoglia scelta che ci affrancasse dalla dipendenza straniera. Come per i termo valorizzatori anche per il nucleare la demagogia ha impedito che la nostra nazione si dotasse di una rete di produzione energetica a basso costo. A poco, inoltre, sono serviti gli incentivi concessi dal governo per il fotovoltaico e le pale eoliche. Gli esecutivi si sono piegati negli anni alle più disparate e bizzarre  teorie alternative. A questo si aggiunga una politica degli enti pubblici proposti – ENI ed Enel – che ha portato i produttori di energia (piccoli e medi) a doversi sottomettere ai commerci lucrativi dello Stato che acquistava energia a prezzi stracciati rivendendola a costi più che congrui agli stessi cittadini. Parimenti inevasa è rimasta la possibilità, per i cittadini, di creare gruppi di acquisto direttamente dalle fonti di produzione senza, così, doversi sottomettere alla logica mercantile di chi compra ad un centesimo il Kilowattore  e poi lo rivende a tre. Comunque sia la semplice e desolante evidenza è che un’industria americana paga l’energia sette volte in meno di un’industria italiana. Non so quanti ricordano che di centrali nucleari ne avevamo avviate già due poi bloccate e destrutturate con una spesa che grava ancora oggi, come un ulteriore accise, sull’impegno di potenza  oltre che sui consumi della corrente elettrica. In parole povere oltre alle accise vere e proprie paghiamo anche il cosiddetto impegno di potenza ed il nolo del contatore. E come se un salumiere ci facesse pagare un surplus di prezzo perché ci vende il prodotto che ci occorre, solo perché lo ha reso disponibile,  oltre  all’uso della bilancia per poterlo pesare (oltre dunque il costo del prodotto vero e proprio). Un’aberrazione giuridica che rasenta la truffa ma che serve a caricare sui costi gli sprechi e gli sperperi derivanti delle decisioni politiche. Un  ginepraio di norme e di abusi che lo Stato monopolista impone al consumatore, oltre alle normali gabelle dell’erario. L’inclinazione all’ignoranza, l’acquiescenza alle angherie del monopolio statale, il bisogno del governo di grattare il barile per irrorare le esangui casse dello Stato assistenziale e clientelare, hanno  consentito che nessuno elevasse proteste e rifiuti accettando di soggiacere a questo stato di cose. Altro amaro capitolo è quello di una  politica ambientalista intransigente e politicamente orientata. Quella, per intenderci, che ha impedito finanche di impiantare i gassificatori, convertire il metano liquido di facile acquisizione (che arriva trasportato dalle navi), in elemento  gassoso da immettere poi nella rete nazionale. Così come per la crisi dei rifiuti la politica ha voluto seguire le teorie di coloro i quali non fanno i conti con la realtà ed i bisogni ma inseguono l’idea di  un mondo ideale che ha costi altissimi. E tuttavia l’ambiente è ormai un ricettacolo di inquinanti che attraverso l’epigenetica condiziona la fisiologica espressione dei nostri geni e con essa induce malattie gravi e mortali. La filosofia “One Health” ha dimostrato che per l’uomo non c’è salute in ambiente insano e che l’inquinamento oggi  è la principale fonte di patologie. Ci troviamo così nella condizione di aver rinunciato ai vantaggi delle tecnologie per produrre energia a basso costo e, nel contempo, viviamo  comunque in un ambiente malamente preservato. Si calcola che nelle “terre dei fuochi” circa il sessanta  percento dei giovani sia infertile per tossicità chimica e biologica e che ci avviamo alla scomparsa dei gameti per riprodurci. Queste le apocalittiche conseguenze di una politica ambigua sia sul piano energetico che ambientale. La politica su illude che con i miliardi del PNRR possa risolvere entrambi i problemi. Ma deve fare i conti con la nemesi della sua passata stoltezza.

*già parlamentare

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