La partita a scacchi dem-sardine

Ernesto Paolozzi, docente di Storia della Filosofia contemporanea presso l'università Suor Orsola Benincasa di Napoli

Il segretario politico del Partito democratico annuncia che convocherà un congresso innovativo per costruire un partito aperto alla società civile e, segnatamente, al movimento delle sardine alle quali vuole offrire un approdo politico. Il Portavoce del movimento, Santori, risponde che il proposito di Zingaretti è un buon proposito ma che le sardine dovranno scegliere con ponderatezza a quale approdo attraccare. Io sono di sinistra, dice Santoni, ma il movimento è trasversale, contiene molte sensibilità. Se ne dovrà discutere. Sembra l’inizio di una partita a scacchi il cui esito non è scontato.

Il movimento delle sardine al suo apparire è sembrato a molti come una riedizione di quei movimenti giustizialisti che nacquero contro il berlusconismo o come una riproposizione generazionale del movimento ispirato da Grillo. Era un errore interpretativo giustificato dalle apparenze, la piazza, un simbolo (la sardina) del tutto improbabile, un linguaggio poco usuale e così via. Altri si accorsero subito che le sardine erano diverse, molto diverse e non facilmente decifrabili. Si scorgeva qualche affinità con i movimenti giovanili del secolo scorso, il ricorso alla musica, alla letteratura, a slogan emozionali. Ma la dimensione che emergeva sempre più con il crescere del movimento, appariva quella di un movimento che nasceva contro l’antipolitica, contro gli estremismi, soprattutto quello di destra (anche perché in questo momento solo la destra si è radicalizzata mentre la sinistra si interroga sulla sua identità), in favore di una proposta di società complessa ma fondata su valori antichi come la solidarietà, la fratellanza, la gentilezza, il buon senso.

In questa prospettiva è sembrato ad alcuni essere vicino ad un certo mondo cattolico, non a Prodi come si è detto per cercare di denigrare il movimento, ma ad alcuni settori della chiesa così come la immagina il Papa gesuita che ha scelto di chiamarsi Francesco. Difficile dire se è così, o se è solo così. Fosse vero Santori sarebbe il giovane protagonista di un nuovo raggruppamento che si pone come centrale, non centrista, nel disastrato panorama politico italiano. Questo giustificherebbe i distinguo operati dal Portavoce rispetto all’invito di Zingaretti. Non sarebbe solo una questione di tattica a breve termine (non conviene schierarsi troppo presto) ma di strategia a lungo termine. Il gioco, dunque, torna nelle mani del Partito democratico il quale dovrà, innanzitutto, ricostruire una sua identità culturale e, di pari passo, consentire un ricambio di classe dirigente soprattutto a livello locale. Bisognerà capire che tipo di sinistra vorrà incarnare, se vorrà rappresentare un elettorato più radicale e coeso o se vorrà mantenere la sua vocazione maggioritaria e, in tal caso ridisegnare i confini di un riformismo che oggi appare incerto e appannato. Solo allora si potrà capire se il dialogo con le sardine come con altri segmenti della società organizzata condurrà alla creazione di un nuovo grande partito. Altrimenti è probabile che il movimento di Santori giocherà la sua partita da solo, non rifiutando il dialogo ma da posizioni autonome. E’ difficile dire cosa sarà meglio per la democrazia italiana. Certo è che la situazione attuale non è sostenibile per molto tempo.

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