La terza via

Vincenzo D'Anna, ex parlamentare

Negli ultimi trent’anni del secolo scorso tutta la sinistra europea ha rincorso il sogno di poter trovare una terza via tra capitalismo e marxismo. Ci provarono, per primi, negli anni Sessanta, i socialisti tedeschi della SPD con il congresso di Bad Godesberg che approvò un programma di radicale modifica dei principi ispiratori del Socialismo. Fu abbandonata allora l’idea ultima, ovvero lo scopo finale del capovolgimento rivoluzionario della società e l’instaurazione della dittatura del proletariato. E furono riconosciuti, come legittimi, la proprietà privata ed il libero mercato di concorrenza in economia (ben temperato e che andò sotto il nome di capitalismo renano). Non pochi, in quegli anni, furono, tuttavia, gli scontri con quanti decisero, invece, di rimanere ben saldi nei partiti comunisti ortodossi, fedeli alle ragioni geo politiche professate dai soviet. Accadde in Italia, ma anche in Scandinavia, Francia, Germania e Portogallo. Nel nostro Paese la differenziazione fu ancora più netta perché vide contrapporsi, da un lato, i socialdemocratici di Saragat e i socialisti di Nenni (e poi quelli di Craxi) e dall’altro, i comunisti guidati da Togliatti, Longo e Berlinguer.

Fu quest’ultimo, da segretario dell’allora Pci, ad indicare un’originale, quanto impraticabile, “terza via euro comunista”, che pur prendendo le distanze da Mosca, prometteva di mantenere inalterata la prospettiva ideologica della lotta all’economia di mercato ed alla collocazione nel patto atlantico dell’Italia. Insomma, come si sarà capito, capitalismo e comunismo non sempre si sono combattuti senza cercare strade alternative ai mali consustanziali di cui pure essi stessi sono permeati. Uno sforzo, in verità, maggiormente sostenuto da coloro i quali hanno finito col prendere atto dell’ineluttabile fallimento dei regimi marxisti nel mondo. D’altronde, i mezzi di comunicazione sempre più diffusi ed alla portata di tutti, hanno reso pressoché impossibile blindare il dissenso e le informazioni oltre che tenere le masse “all’oscuro”. La caduta del muro di Berlino ed il dissolvimento dell’URSS, hanno finito per avviare anche nel nostro Paese il processo di trasformazione del Pci in qualcosa che negli anni si è trasformato in Pds e Ds prima e poi, fondendosi con altre formazioni politiche, nell’attuale Partito democratico. Ora, che questa trasformazione abbia agevolato una maggiore inclinazione verso l’instaurazione di un modello di Stato meno pervasivo ed invadente nelle attività sociali ed imprenditoriali, non è possibile affermarlo. D’altronde, l’andazzo dello Stato massimo che doveva garantire i bisogni (e le esigenze) dei cittadini (e quelle dei clienti), non è mutato affatto così come non è stato fermato il trend che imperversava col vecchio “pentapartito” a trazione democristiana (oppure laico socialista).

In verità con la seconda repubblica si è instaurata una particolare terza via che la sinistra ha utilizzato rispolverando un vecchio cavallo di battaglia berlingueriano denominato “questione morale”, basato sulla presunta superiorità etica dei partiti e dei politici ex comunisti. Tale moralismo ha subito fatto coppia fissa con il giustizialismo e l’uso politico della giustizia in anni in cui un avviso di garanzia veniva bollato come un marchio d’infamia e la politica stessa, spogliatasi dell’immunità parlamentare, finiva per essere soggiogata al potere intangibile, irresponsabile nonché assoluto, delle toghe. Per via giudiziaria, lo si ricorderà, sono stati letteralmente spazzati via gli antagonisti più scomodi della sinistra che mai era stata in grado di sconfiggerli sul piano elettorale. Come affermava il liberale lord Acton, il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe assolutamente, onde per cui i legami e gli intrecci tra politica e magistratura sono stati sempre maggiori fino al culmine del “caso Palamara” e le dimissioni di alcuni magistrati dal Csm.

Un caso al quale è stata subito messa la sordina evitando di sbobinare le intercettazioni del magistrato finito al centro dello scandalo, l’ex ministro Lotti e vari titolari delle procure italiane, prima tra tutte quella di Roma. Nessuna inchiesta giornalistica, né commissioni parlamentari d’inchiesta, né ispezioni ministeriali sono state disposte o quantomeno invocate da quei grillini cantori dell’onestà. Eppure, udite udite, si è scoperto che le logiche in base alle quali operava l’organo di autogoverno dei giudici erano quelle tipiche della spartizione politica! Altro che manuale Cencelli!! Possibile che non ci sia un solo segugio di cronista o di moralista intenzionato a scoprire quanto dissestata sia l’unica terza via praticabile in politica?

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