L’impero del male

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Sono trascorsi trent’anni dalla dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il vasto impero che, dopo la seconda guerra mondiale, per mano dell’Armata Rossa, aveva esteso il dominio di Mosca su buona parte degli stati dell’Est Europa. Questi ultimi, territorialmente contigui, erano stati paradossalmente prima “liberati” dall’occupazione nazista e poi assoggettati ad un’alleanza forzosa con il “liberatore” Stalin che aveva però tutte le caratteristiche di un’annessione politica vera e propria. Polonia, Cecoslovacchia, Germania Orientale, Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia insieme con Romania e Jugoslavia, divennero nazioni formalmente autonome ma nella sostanza etero dirette dal Cremlino attraverso l’egemonia dei partiti comunisti locali, collegati e vincolati al Pcus (il partito comunista sovietico).

La Romania e la Jugoslavia, in particolare, sempre con regimi dittatoriali comunisti, godevano di una maggiore autonomia sul piano delle alleanze militari e politiche (la Jugoslavia di Tito arrivò addirittura a rompere l’asse con Stalin). Una vasta coalizione di Stati, insomma, entro i quali, in nome e per conto della massificazione dettata dal marxismo più ortodosso (quello che affida al governo centrale ogni potestà), erano precluse le più elementari libertà personali e i diritti civili. Una simbolica “cortina di ferro” era sorta, per dirla con le parole del premier britannico Winston Churchill, e separava questi paesi dal resto del mondo occidentale con le sue specifiche prerogative liberali immerse in un contesto economico basato sul libero mercato di concorrenza, oltre che su carte costituzionali che sancivano il rispetto delle prerogative personali di ciascun cittadino. Una partizione del mondo e della stessa Europa, che era sorta come conseguenza sia delle intese tra gli Stati vincitori della guerra, sia per una fedele rappresentazione dei territori liberati dal dominio hitleriano.

Questo coacervo di cose diede vita alla cosiddetta “guerra fredda”, il contrasto tra due egemonie: quella che ruotava intorno agli Usa e quella che veniva imposta intorno all’Urss. Quest’ultima fu denominata da Ronald Regan “Impero del Male”, ovvero il luogo ove le libertà ed i diritti personali erano conculcati ed asserviti a una nomenclatura statale inamovibile con poteri indiscutibili ed ineludibili. Tuttavia, pur tra reciproche minacce e contrapposizioni, almeno negli anni ‘80 del secolo scorso furono avviati programmi di riduzione degli armamenti nucleari che poi, ahinoi, furono drasticamente interrotti dopo la caduta del muro di Berlino e il conseguente smantellamento della morsa sovietica. L’invasione dell’Ucraina, le atrocità commesse sulla popolazione civile, per malvagia sete di dominio da parte del “cerchio magico” che ruota attorno a Putin, fanno risorgere quella mentalità egemone e il desiderio di tornare ai fasti geo politici di un tempo.

Le continue minacce proferite dai russi nei confronti di nazioni sovrane, ree, a detta loro, di voler aderire all’Unione Europea ed alla Nato, sono l’espressione di quella inconfessata volontà. I continui richiami all’uso oppure a un diverso posizionamento dell’arsenale atomico indicano che la minaccia armata è lo strumento di cui intende avvalersi il nuovo impero russo per raggiungere i propri scopi. Altro elemento indicativo in tal senso è quello scaturente dalla volontà di riesumare i simboli e le statue di Lenin nei luoghi occupati dai russi. Se aggiungiamo che il Cremlino annuncia, in pompa magna, la realizzazione di un nuovo missile nucleare intercontinentale non intercettatile, il quadro diventa ancora più nitido. Nessuno può certo biasimare una nazione che intenda recuperare il proprio peso politico nel mondo, quello che è però inaccettabile e che intenda farlo con la mentalità dei vecchi Satrapi del politbüro comunista, invadendo i territori di una nazione sovrana.

Sono, questi, gesti eloquenti e terribili, che travalicano finanche gli orrori della guerra stessa, poiché pongono una pesante ipoteca sul futuro di pace nel mondo. Un passo indietro inimmaginabile, quale il ritorno all’impero del male, all’idea che bisogna aumentare il potenziale atomico esistente per farsi temere e rispettare, e che tra le grandi potenze torni una sordida guerra fredda. A questo punto gli ipercritici del capitalismo ed i cultori dell’anti-americanismo potrebbero anche comprendere che la globalizzazione non è stata solo un volano economico per migliorare il livello di vita in tutto il mondo ma pure (e sopratutto) un messaggero di collaborazione economica tra nazioni di portata realmente globale. Se è vero che sui confini ove passano le merci non passano i cannoni, qualcuno dovrà pur decidersi a capire che la libera economia produce pace e reciprocità di progresso. Il ventesimo secolo fu caratterizzato dalle due guerre mondiali e dai regimi dittatoriali, nazi fascisti e comunisti. Quello che stiamo vivendo, purtroppo, sembra essersi avviato sulla medesima strada.

*ex parlamentare
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