Lo psicologo: “Questo virus ci ha segnato nel profondo, ecco perché”

Parla lo psicoterapeuta Salzano: "Quando tutto finirà, anche medici e infermieri avranno bisogno di aiuto"

Valerio Salzano, psicologo e psicoterapeuta
Valerio Salzano, psicologo e psicoterapeuta

I primi giorni di ‘reclusione’ domiciliare forzata sembravano infiniti. Le persone che si sono chiuse in casa si sono inventate flash mob, canzoni al balcone, ricette da pubblicare sui social, pur di condividere. I giorni successivi anche queste esternazioni ‘globali’, cittadine o di quartiere, si sono stemperate.

La rassegnazione sta prendendo il posto della novità? Lo chiediamo allo psicologo e psicoterapeuta Valerio Salzano.

“Beh, questa domanda apre al concetto di ‘fasi’ a mio avviso molto appropriato ed utile ad osservare e descrivere questa straordinaria vicenda che stiamo vivendo e che, lungi dal volgere al termine, sta cogliendo tutti noi impreparati. Impreparati perché non conosciamo ciò che abbiamo di fronte. In genere l’uomo quando si trova in questa condizione risponde con la paura che, come tutte le emozioni ha una funzione, diciamo così, di sopravvivenza. Tuttavia questa forma di protezione, esattamente come il sistema di protezione della nostra auto o del nostro pc, ha un costo. Funzioniamo sì, ma con qualche limitazione che, nel caso delle persone, significa convivere con uno stato di angoscia, allerta per la presenza di una minaccia. Talvolta, per non subire questa sorta di funzionamento ‘ridotto’ o per garantire un ‘sufficiente funzionamento’ ci vengono in soccorso taluni meccanismi di difesa che, nel caso della paura frappongono, tra noi e questa emozione, una barriera. Questa premessa ci aiuta forse a meglio comprendere cosa è accaduto alla gran parte di noi nella fase iniziale, quando arrivavano le drammatiche immagini dalla Cina”.

Cosa intende dire?

“Che l’allontanamento, la negazione, hanno consentito alla comunità scientifica, a quella politica così come all’uomo comune, di sentirsi in qualche modo al sicuro. Non è una colpa, ma è così che accade. Presto sono arrivati i primi contagi italiani che hanno iniziato a rompere queste negazioni, esattamente come in una diga, l’acqua ha iniziato a creare delle crepe, in alcuni casi inondazioni. Sono stati i giorni del terrore che precedevano gli interventi del Governo. Angoscia e smarrimento ci hanno dominati. Sono giunte poi, attraverso il discorso del Presidente del Consiglio Conte, le restrizioni. Queste restrizioni accompagnate da informazioni sul virus e da una discreta capacità comunicativa, hanno sortito l’effetto di contenere in parte l’angoscia, motivare al sacrificio e coltivare la fiducia in una ‘vittoria’. Ecco, per rispondere alla sua domanda, la fase dei flash mob e delle canzoni ai balconi sono state una catarsi, un tentativo di esorcizzare la paura oramai molto alta”.

Vuole dire che in questo caso la paura ha avuto un ruolo maggiore dello spirito di solidarietà?

“E’ chiaro che con questo non voglio sottovalutare la spinta filantropica che certe anime sanno dare nei momenti di maggiore difficoltà. La sensibilità di alcuni riesce, e riuscirà sempre, a trascinare i più deboli di spirito. Quello che è accaduto dopo credo abbia a che fare con la violenza dei colpi inflitti negli ultimi dieci giorni da questo virus ai corpi e agli animi degli italiani. Come se le danze ‘propiziatorie’ fossero cessate proprio per sfinimento di coloro che, sotto i colpi inflitti dalla ‘stessa carestia’, non hanno più avuto la forza di danzare”.

In tanti, soprattutto quando ancora veniva lasciata una discrezionalità senza sanzione, hanno inventato le scuse più fantasiose pur di uscire di casa”. Cos’è che spinge verso l’esterno?

“Anche questa apparentemente strana ed irresponsabile condotta va letta attraverso quello che dicevamo poc’anzi. Alcuni soggetti, e qui semplifico molto, presentano dei mal funzionamenti nella gestione di talune allerte (paura) per quella che potremmo definire una fragilità/immaturità psichica. Pertanto, anziché innescare comportamenti auto conservativi pagando il ‘prezzo’ dell’angoscia, innescano, in maniera assolutamente involontaria, meccanismi di negazione. Questi meccanismi combattono l’angoscia sì, ma non il problema che l’ha generata producendo talvolta comportamenti disfunzionali”.

L’emergenza fa emergere la figura dell’uomo forte, quello decisionista…

“La risposta alla sua domanda si collega alle precedenti e cioè al tipo di reazione che un soggetto ha ad uno stimolo ad alto contenuto emotivo. Ovvero, come riesco a spaventare tanto da far adottare comportamenti protettivi ma non troppo da indurre la persona ad allontanare, negare, dissociare il problema? Questa complessa questione, richiama alla complessità del ‘ruolo genitoriale’ di chi ci governa e di chi fa comunicazione. Sicuramente rassicurare minimizzando porta a sottovalutare misure e provvedimenti, tuttavia non è detto che un atteggiamento ‘terroristico’ sia la risposta, potrebbe, in alcuni casi, innalzare difese psicologiche maggiori. Quello che psicologicamente si è visto funzionare nel contenimento della paura lo sanno già empiricamente i genitori di bambini piccoli e gli operatori della salute mentale. Bisogna tendere ad una comunicazione chiara, il più possibile decisa e congrua (né sorrisi sul volto, né il terrore senza speranza). Ovvio che questo è più facile a dirsi che a farsi, meno ovvio è forse che queste capacità attengono alla sfera del ‘saper essere’ e non del ‘saper fare’ ovvero riguardano il grado di sviluppo emotivo-psicologico e non delle competenze razionali. Con questo intendo dire che sarebbe forse il caso, in questa complicatissima situazione, scegliere chi debba dire in base, per una volta, a caratteristiche psicologiche. Per meglio chiarire il concetto inviterei il lettore, a mo’ di esperimento, a passare in rassegna, nella sua mente, alcuni dei toni e dei volti di questi giorni ad esempio De Luca, Salvini, Meloni, il Papa provando a coglierne le differenze in termini di suggestioni”.

I bambini come affrontano gli effetti di questa emergenza epidemiologica?

“I bambini in questa faccenda si avvantaggiano della ridotta consapevolezza per cui, nella maggior parte dei casi, non risentono della drammaticità di quanto sta accadendo se non per una cattiva gestione e trasmissione dell’adulto di riferimento. Quello che probabilmente impatta su di loro è il cambiamento della routine, l’interruzione del contatto con i pari e con gli insegnanti da un lato; ed il prolungato dilatarsi dei tempi morti e del contatto con i genitori dall’altro. Su questo c’è sicuramente da riflettere e, perché no, da imparare. Oggi generalmente non siamo abituati a trascorrere l’intera giornata con loro ed essi stessi si aspettano un’attenzione costante e prolungata che, evidentemente, non può esserci. Questa condizione forzata può insegnare a taluni genitori ad essere creativi e a divertirsi con i loro figli; ad altri ad esplorare il ‘vuoto’ a discapito del ‘pieno’. Un suggerimento, infine va agli insegnanti, lo sforzo della didattica deve essere nella direzione dell’adattamento al nuovo mezzo comunicativo, quello telematico, e non nella sostituzione/sovrapposizione degli stessi format adoperati prima. Alcuni Istituti stentano ad utilizzare il mezzo telematico limitandosi ad assegni fiume inviati col telefono. Altri tendono a svolgere la tradizionale giornata scolastica sulle varie piattaforme messe a disposizione. Specialmente nella scuola primaria va tenuto conto dei tempi di attenzione, non si possono fare lezioni di un’ora e mezza con 10/15 bambini collegati simultaneamente. Meglio creare mini gruppi di 4/5 bambini per volta cui spiegare la lezione in 20 minuti, assegnare esercizi sull’argomento e verificare rapidamente il giorno dopo. I bambini, più degli adulti si adattano, questo è un bene, ma può trasformarsi anche in un male, sta a noi proporre loro modelli adeguati”.

Quali sono i soggetti deboli?

“Si parla molto dei soggetti deboli, gli anziani, gli immunodepressi, coloro che presentano problematiche respiratorie, ecc. Quello che posso aggiungere, dalla mia angolatura, è che esiste un altro mondo sommerso, forse troppo, rappresentato dalle persone con fragilità o, tout court, sofferenza psichica. Questi soggetti sono, a mio avviso, da ritenersi diversamente fragili. Cosa è un malato mentale se non una persona la cui impalcatura emotiva è estremamente compromessa così come quei meccanismi di difesa di cui parlavamo poc’anzi? Potremmo azzardare una analogia tra il piano biologico in cui un soggetto con ridotta capacità polmonare pregressa soccombe ad una polmonite da Covid-19 ed uno psicologico in cui una persona con un ‘Io frammentato’ che non riesce ad integrare gli stimoli che una vita normale gli dà, va in frantumi per la troppa paura di ammalarsi, le difficoltà economiche, la perdita di un congiunto, la eccessiva vicinanza familiare che l’isolamento impone. Proprio di questi giorni le notizie di alcuni suicidi da parte di persone atterrite all’idea di essere contagiati e contagiare. Beh, ipotizzo che queste persone fossero soggetti psicologicamente fragili ab origine e credo, ahimè, i prossimi mesi metteranno a dura prova gli equilibri di molte di queste persone. Personalmente mi sorprende e mi rammarica sempre quanto poco si parli della malattia mentale. Non posso, inoltre, non pensare alle figure sanitarie oggi impegnate a profondere impegno e professionalità ai deboli ma che un giorno si fermeranno. Sapranno incontrare ricordi, immagini, scene, scelte? Credo che inevitabilmente si sentiranno, a loro volta, deboli e bisognosi di attenzioni”.

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