L’“onestà” privata dei pentastellati e la legalità figlia della democrazia

Una volta i grillini cercavano di convincere le persone di essere diversi. Dicevano che avrebbero espulso chiunque fosse stato colpito da qualsiasi tipo di indagine

Foto LaPresse/Emiliano Albensi

La capolista alle Europee scelta da Luigi Di Maio per il collegio Nord Ovest Maria Angela Donzì resterà in corsa. E’ indagata per invasione di terreni pubblici ma, secondo “il Movimento 5 Stelle” (in questo caso gli iscritti al blog non c’entrano, visto che non sono stati interpellati), l’indagine è irrilevante.

La vicenda, che è passata quasi sotto silenzio, è ricca di spunti di riflessione. Una volta i grillini cercavano di convincere le persone di essere diversi. Dicevano che avrebbero espulso chiunque fosse stato colpito da qualsiasi tipo di indagine o addirittura da qualunque sospetto di attività illecita o immorale.

Si potrebbero fare tanti esempi, ma basta ricordare il caso del sindaco di Quarto, espulsa perché il suo nome era nelle carte di un’inchiesta in cui non era nemmeno indagata. E quello del primo cittadino di Parma, cacciato per non aver segnalato un avviso di garanzia e mai riammesso dopo l’archiviazione.

Trattamento decisamente diverso lo ha ricevuto il capo dell’esecutivo della Capitale Virginia Raggi, rimasta al suo posto e mai espulsa dal Movimento nonostante il rinvio a giudizio. Certo, poi è stata assolta ma è innegabile che in altri casi i vertici grillini, chiunque essi siano, non sono stati altrettanto pazienti.

Persino Salvini, indagato per sequestro di persona, è stato difeso a spada tratta dai pentastellati, che hanno votato contro l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Poi anche il premier Conte, Di Maio e il ministro Toninelli sono stati iscritti nel registro degli indagati per una vicenda analoga.

Se avessero voluto applicare in maniera davvero rigida le regole che si erano dati, avrebbero dovuto dimettersi tutti. Anche quelli che hanno votato per l’immunità del ministro dell’Interno. A dire il vero, se fossero davvero quelli che dicevano di essere, non si sarebbero nemmeno alleati con un partito politico.

In conclusione, la parabola grillina dovrebbe indurci a riflettere sulle fortune del Movimento e sul significato di termini in voga come “giustizialismo” e “garantismo”. La legge stabilisce quali sono i casi di ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità.

Quando può essere comminata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e quando i diritti politici possono essere compressi. E’ espressione della volontà del popolo il quale, attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa, esercita la sovranità che l’articolo 1 della Carta gli attribuisce.

Praticare la legalità, l’“onestà” di cui i grillini parlano così spesso, significa rispettare la legge e la giustizia. Riconoscere il valore del diritto anche quando esso consente a una persona indagata di candidarsi e di esercitare funzioni pubbliche.

Rispettare la Magistratura anche quando essa indaga su un amministratore ma non adotta misure che gli impediscano di svolgere il suo ruolo. Se si abbandona la legge per affidarsi a un sistema normativo privato, per quanto rigido, si rischia di perdere la via della legalità e dell’onestà.

E di cadere nella rete di chi, poi, quelle regole le interpreta e le applica in maniera discrezionale e a seconda delle convenienze. Chi ci garantisce che non è questo il caso e che decisioni del genere vengono prese per perseguire l’interesse generale?

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