Luongo in prigione per mafia

Per la Dda ha coordinato il cartello di imprese legate alla mala dell’Agro aversano

CASAL DI PRINCIPE – Non un fiancheggiatore, non un colletto bianco in affari con il clan dei Casalesi. Per i pm Maurizio Giordano e Graziella Arlomede, Oreste Fabio Luongo, 43enne di Casale, è organico alla cosca. Almeno dagli inizi del Duemila e fino al 2021, affermano gli inquirenti, ha fatto parte del gruppo “come imprenditore incaricato direttamente dai vertici del clan Schiavone di coordinare una serie di uomini d’affare da far partecipare a gare d’appalto i cui vincitori venivano designati dal clan”. E’ in questo modo, sostengono i magistrati della Dda, che “forniva uno stabile contributo partecipativo alla cosca consentendo ad imprenditori legati alla mafia di vincere appalti pubblici ed al clan di finanziarsi con una percentuale sull’importo dei lavori assegnati”.
La figura di Luongo, già nota agli inquirenti, è emersa nel corso dell’inchiesta, condotta dai carabinieri di Aversa, sulle recenti attività imprenditoriali di Sergio Orsi e del figlio Adolfo. Su input dei due, Luongo avrebbe fornito il nome dell’impresa Co.Bi srl da invitare ad alcune gare d’appalto bandite dal Cira, a cui erano interessati proprio gli Orsi, “solo per dare parvenza di pluralità di inviti durante l’incanto”.
A parlare di Luongo alla Dda, collegandolo alla mafia locale, sono stati diversi collaboratori di giustizia. Mario Iavarazzo, ex cassiere del gruppo Schiavone, indicandolo con il nomignolo di ‘Trusiano’, ha sostenuto di averlo conosciuto agli inizi del Duemila. Gli fu presentato da tali fratelli Capasso “come un ragazzo di Casal di principe che intendeva iniziare a svolgere l’attività di imprenditore edile con la ditta del padre Francesco”. Iavarazzo ha riferito che Luongo metteva la sua società a disposizione del clan per la partecipazione alle gare, permettendo così la formazione di un cartello di imprese in grado di controllare le procedure pubbliche. Le ditte che si aggiudicavano il lavoro, ha aggiunto il pentito, versavano un parte del valore aggiudicato nella misura del 10 percento al clan.
A dare informazioni alla Procura su questa rete di uomini d’affare che, con le loro offerte concordate, riuscivano a manipolare le procedure, è stato anche Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco Sandokan Schiavone, collaboratore di giustizia dal 2018. In tale cerchia ha inserito proprio Luongo. “Il papà Franco detto Trusiano, persona che io conosco personalmente, era molto legata a Francesco Bidognetti. Fabio – ha riferito il pentito – aveva un buon rapporto di frequentazione e di conoscenza sia con me che con mio fratello Walter, nel periodo della fine degli anni novanta, allorché condividevamo degli interessi comuni discendenti dal periodo scolastico. Fabio era molto amico di Michele Della Gatta, ucciso nel 1999. Seguì le orme del padre, che aveva un’impresa edile e svolgeva lavori prevalentemente sul territorio casertano ed anche fuori provincia. Il papà di Fabio – ha dichiarato Schiavone – era un imprenditore colluso con la famiglia Bidognetti, […] ricorreva al clan per poter avere dei lavori sulle zone controllate dalla cosca assicurando costanti finanziamenti al clan”. Fabio però, ha chiarito il pentito, a differenza del padre si era allontanato da Cicciotto ‘e mezzanotte e avvicinatosi agli Schiavone. “Coltivava rapporti di frequentazione e di amicizia sia con me che con mio fratello Walter. Posso affermare che Fabio era particolarmente legato ad un gruppo di imprenditori con i quali faceva ‘cartello’, ossia partecipava insieme ad altri imprenditori a gare d’appalto dietro autorizzazione del clan soltanto per simulare la legittima della procedura di gara”.

‘Intermediario tra De Lucia e Zagaria’

Da meno di 24 ore Fabio Oreste Luongo si trova in carcere. Ma l’indagine che adesso lo ha spinto in cella non è stata la prima a travolgerlo. Sta già affrontando un processo con l’accusa di associazione a delinquere e di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa. Secondo la Dda, tra il 2009 e il 2012, avrebbe fatto da intermediario tra Antonio Zagaria, fratello del capoclan Michele, un ingegnere e alcuni imprenditori in relazione ad un appalto bandito dal Comune di San Felice a Cancello, quando a guidarlo c’era Pasquale De Lucia. Il lavoro riguardava un project financing dal valore di oltre un milione e 342mila euro volto a realizzare opere di urbanizzazione della zona industriale di località Ischitella-Cancello. Tra gli imputati, con Luongo, ci sono De Lucia, già sindaco sanfeliciano e consigliere regionale, e Rita Di Giunta. Questi ultimi rispondono di concorso esterno al clan dei Casalesi. Il politico, stando a quanto ricostruito dalla Dda, anche attraverso la donna, quando era al vertice del Comune, si sarebbe accordato con i reggenti della fazione Zagaria promettendo lavori alle e società da loro indicate in cambio del sostegno elettorale. Il dibattimento riprenderà domani dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Lo scorso febbraio Cronache si era occupato di Luongo in relazione all’inchiesta sul business delle cooperative sociali, sul quale il clan dei Casalesi pure avrebbe disteso i propri tentacoli grazie ad imprenditori ritenuti vicini alla cosca. A condurla è la Squadra mobile di Caserta che, grazie a intercettazioni e riscontri documentali, è riuscita a dimostrare come parenti di boss e fiancheggiatori del clan sono stati puntualmente assunti nelle cooperative. E tra questi i poliziotti hanno indicato anche la sorella di Luongo, Giovanna (estranea all’indagine). Il giorno successivo all’articolo, il casalese ci ha inviato un messaggio sostenendo che l’articolo scritto era mosso “da astio” nei suoi confronti, chiarendo che sorella non lavorava più nella coop indicata.

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