Narcos sequestrato per otto mesi: la doppia fuga di Carbone

Bruno Carbone
Bruno Carbone

NAPOLI – Chi ha arrestato il latitante Bruno Carbone? Ieri nel carcere di Rebibbia ha rivelato agli inquirenti retroscena della cattura in Siria. Quasi sorrideva. Felice. Ha detto che avrebbe abbracciato poliziotti e carabinieri, che lo hanno ammanettato all’aeroporto di Ciampino. Se solo avesse potuto (aveva le mani legate). 

La paura è stata tanta. E il sollievo uguale. 

Sequestrato otto mesi fa da un gruppo paramilitare salafita HTS, acronimo di Hayyat Tahrir Al Sham. Guerriglieri a tutti gli effetti. Il 45enne se ne è accorto subito, per i modi spiccioli dei soldati di trattare i prigionieri. Segregato in un tugurio, bendato e senza contatti esterni. Né con italiani, né con gente del posto (peggio di una cella).

Ha sofferto stenti, fame e sete. Cure mediche neanche a parlarne. Ha capito il primo giorno che l’obiettivo fosse sopravvivere.

Rimasto qui tutto il tempo: nel nord del Paese. Nascosto in una contrada impervia sopra Idlib. Perché qui? Bruno Carbone in quel periodo si spostava di frequente, per sfuggire alla giustizia. Cambiava dimora. E voleva trovare un nuovo rifugio, per non lasciare tracce. Durante il viaggio è stato braccato dal gruppo di jihadisti, che anni fa ero legata ad al-Qaeda. Oggi qui è cambiato tutto. I paramilitari hanno creato uno Stato parallelo nel nord della Siria, al confine con la Turchia. E ritengono che controllino tutto: siamo i padroni di questa regione. In effetti la vicenda di Carbone lo conferma. Ma perché sequestrare un latitante italiano? Avevano pensato di ricavarne qualcosa. E qui si aprono scenari inquietanti. Improbabile (non impossibile) un riscatto dai familiari. Piuttosto favori in cambio dalle autorità locali. Forse denaro.

E perché lo hanno rilasciato otto mesi più tardi? Innanzitutto il contesto: i paramilitari contattano direttamente le istituzioni italiane, probabilmente le forze dell’ordine (ma il canale resterà per sempre un mistero). Lo prendono e consegnano agli italiani, che lo arrestano a Ciampino martedì mattina senza muovere un passo. Pacco regalo spedito dalla Siria. Altro interrogativo.  Se ne sono sbarazzati, quando hanno capito che fosse un problema? Di che genere? Ipotesi meno quotata, dal momento che la milizia controlla militarmente i confini della regione. Probabile abbiano raggiunto una rapida intesa – forse economica – con un mediatore. Sta di fatto che martedì mattina era una Pasqua per la liberazione dopo quasi un anno. Non nascondeva il sorriso, neanche quando è stato arrestato dalle autorità italiane. Anzi. E non lo ha fatto ieri davanti al giudice. Nessuno intuiva il motivo. Solo lui sa cosa ha passato. Meglio l’Italia. 

Doppio interrogatorio nel carcere di Rebibbia

Un doppio interrogatorio ieri nel carcere di Rebibbia a Roma. I magistrati vogliono capire come siano andate le cose. Bruno Carbone non è uno qualunque. Una sorta di alter ego di Raffaele Imperiale. Gli davano la caccia da diciannove anni. Un fantasma. E a prenderlo non sono stati gli italiani (anche se alcune agenzie di informazione sostengono il contrario). Il 45enne di Giugliano è considerato uno dei più grossi narcotrafficanti. Latitante dal 2003. Ieri mattina a Rebibbia primi interrogatori di garanzia. Ascoltato due volte dai giudici: sul tavolo l’ordinanza a Napoli con ingenti sequestri di droga e una inchiesta analoga a Reggio Calabria, con stupefacenti al porto di Gioia Tauro (accusato di aver importato 2.200 chili di cocaina). Non un narcotrafficante qualunque. Difeso dall’avvocato Giacomo Pace. Carbone in Siria se l’è vista brutta. E oggi la sua storia è un giallo. Per sfuggire alla polizia, aveva scelto un territorio di guerra, dove il caos è all’ordine del giorno. Ma se c’è instabilità, i rischi sono anche per i latitanti. Solo alla fine di un lungo sequestro è stato consegnato agli italiani da un gruppo di guerriglieri, che si definiscono fanatici. Una paranza anti Stato, che stavolta ha seguito la legge e ha ‘restituito’ all’Italia il ricercato. Un garbo ‘istituzionale’? Non da poco. Carbone è destinatario di ordinanza cautelare in carcere su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, fatti per i quali era stato già condannato in primo e secondo grado. La polizia giudiziaria ha eseguito anche un ordine per la carcerazione per una pena di 20 anni di reclusione, della Procura Generale di Catania, dopo sentenza passata in giudicato per associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, nonché un’altra ordinanza cautelare in carcere del gip di Reggio Calabria per associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti. Un grosso favore delle milizie siriane. L’Italia ringrazia. 

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