Oscar Di Maio: “Scherzavo quando suggerii alla Pascale la trovata dello striscione per Berlusconi. Il Cafone? E’ il mio premio Oscar”

"Il personaggio del Cafone? Il mio premio Oscar"

La visita in redazione

NAPOLI – Intervistare Oscar Di Maio non è semplice. E non solo perché, a volte, è difficile capire quando è serio e quand’è che sta recitando. Seguire le mille anse della sua storia, personale e professionale, è affascinante ma impegnativo: e ritrovarsi dalle assi del Sannazaro ai cieli di Arcore è veramente un attimo. Sarà difficile riassumere due ore di conversazione in una manciata di parole: arriverà il momento, per il lettore, in cui si chiederà cosa c’entri Nino Taranto con Silvio Berlusconi, perché da Luisa Conte siamo finiti a parlare di Francesca Pascale. Ma vi assicuro: tutto ha un senso. (GUARDA IL VIDEO)

E il percorso di questo artista, 58 anni di cui 50 passati in scena, lo testimonia appieno. Il grande pubblico lo conosce soprattutto per il personaggio d’o Cafone, creato alla vigilia del nuovo secolo per prendere in giro il ‘napoletano’ medio: in realtà nel 2000 Oscar Di Maio aveva già una carriera pluridecennale alle spalle, cominciata praticamente in famiglia.

Quando ha deciso che sarebbe stato un attore?

Io non l’ho deciso, è stata una scelta naturale. In casa mia si parlava solo di teatro perchè si viveva di teatro. Tre sono le grandi famiglie del teatro napoletano, in ordine cronologico: Scarpetta, Di Maio, Viviani. La mia è sulla scena dal 1875, io ho calcato per la prima volta il palco di un teatro a 8 anni. Sono un bambino prodigio. Poi ho ripreso a 15 anni al teatro Sannazaro.

Non si è emozionato, così piccolo, non ha dimenticato la parte o è inciampato?

Io in verità mi emoziono ancora. Guai quando un attore non si emoziona più.

Chi è il collega da cui ha imparato di più?

Io sono stato veramente fortunato. Ho conosciuto attori grandissimi del teatro classico napoletano. Ugo D’Alessio, Luisa Conte, Olimpia Di Maio, Michele Abruzzo, Beniamino Maggio: ho cominciato nell’età in cui si apprende e poichè ero raccomandato, perché mio zio era il commediografo, io ho seguito questi grandissimi attori sbirciandoli sul palco.

Lei ha interpretato anche ruoli seri. Un azzardo per un comico?

Dietro un attore comico bravo c’è un grande attore drammatico. La comicità scaturisce sempre da un dramma. Il pubblico ride del cornuto, ma lui sta affrontando un problema enorme. Chi cade fa ridere, ma lui si fa male. Se il comico riesce a creare questa sinergia tra i due mondi allora arriverà al pubblico. Poi, se oltre a far ridere, riesce a fare pure tenerezza, allora è il top.

Oggi i comici fanno anche altro: Beppe Grillo ha quasi fondato un governo..

Chi è Beppe Grillo? (ride, ndr)

Il comico genovese… ma penso anche a Benigni, che è spesso intervenuto nelle questioni politiche del Paese. Lei che ne pensa?

Il comico può dire, deve dire di politica, ma non ne deve far parte, sennò diventa di parte. A Napoli si dice: “Acquaiò, l’acqua è fresca? Manc’a neve”. E la stessa cosa.

Però parodie politiche ne ha fatte… penso al fratello di Berlusconi.

Sì, ne ho fatte, su chi stimavo e su chi non stimavo, ma non mi sono mai schierato. Ho ironizzato.

Da Arcore, visto che tra l’altro lei ha lanciato l’attuale compagna Francesca Pascale, ha mai avuto feedback?

Per la verità me lo sono augurato, ma non mi ha mai denunciato, altrimenti avrei fatto tre film. Però ho avuto dei fastidi.

Racconti…

La Pascale era in compagnia con me a Telecafone. Era intelligentina, non molto talentuosa, e come tanti giovani, assetata di potere, voleva essere vip a tutti i costi. Io per ironizzare le dicevo: se proprio ti devi innamorare di qualcuno, devi puntare in alto, tipo a Berlusconi. “E che devo fare?” mi rispodeva. “Io farei passare un bell’elicottero con uno striscione con su scritto Silvio mi manchi”.

Quindi l’inizio di tutto, del fan club, ha la sua firma?

Sono io l’autore! Intanto lei l’ha fatto veramente e Berlusconi veramente si è incuriosito e l’ha chiamata. Io ci sono rimasto male perchè Francesca dalla sera alla mattina non mi ha risposto più a telefono, mentre io sono stato bombardato dai giornali esteri, che volevano sapere, mi proponevano quasi di fare un inciucio, uno scandaletto, su di lei. Io l’ho sempre difesa, perché a parte tutto era na bona piccerella. Non ho mai avuto niente da ridire e poichè, subito dopo mia figlia, era la più piccola, l’ho sempre protetta. Ma Berlusconi nun m’a vulut aiutà…

Torniamo alla sua carriera: perché dopo decenni di teatro ha scelto di dedicarsi in maniera prioritaria al piccolo schermo?

Il teatro non dà la popolarità. Io ho sempre odiato la televisione finta, affettata, ecco perché decisi di fare una trasmissione che andava contro tutta questa bigiotteria: e m’inventai il personaggio del Cafone. Poco elegante, sì, ma autentico. Francamente, io non mi aspettavo il successo che ho avuto. La mia intenzione era quella di far ridere e basta. Il primo che capì che avevo fatto qualcosa di grosso fu mio fratello Ernesto (Paolozzi, docente di Storia della Filosofia moderna e contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa, ndr): “La cultura è una cosa, la falsa cultura è peggio dell’ignoranza e il pubblico l’ha capito”.

Dunque il personaggio del Cafone non le sta stretto, non le dispiace l’etichetta che si porta addosso nonostante una carriera ben più lunga e diversificata…

O Cafone è il mio premio Oscar, il mio premio Nobel. Io ho avuto il piacere di ricevere pubbliche attestazioni di stima da Roberto De Simone, che mi ha definito “cultura popolare”.

Quella stessa cultura popolare che oggi fa fatica ad affermarsi a livello nazionale?

C’è un po’ di razzismo riguardo i dialetti. Ficarra e Picone, Massimo Boldi, se parlano di ‘minchia’ o di ‘ciulare una donna” vengono applauditi. Provate a dire la stessa cosa in napoletano. C’è un imbarbarimento del linguaggio generale, si sono svilite le parole, c’è un appiattimento generale. E comunque il napoletano oggi non lo sa parlare più nessuno.

Fare il suo mestiere a Napoli com’è? Le istituzioni sono vicine agli artisti?

Le istituzioni sono vicine, sì, ma alla gente sbagliata. La Regione Campania dà soldi ad un teatro perchè faccia promozione della tradizione ma questo teatro la tradizione non la fa. Poi magari faccio domanda io, che forse non faccio la tradizione ma ‘sono’ la tradizione, se non altro perché mi chiamo Di Maio, non ho niente da nessuna. Recentemente ho chiesto una sala, non soldi, per allestire una scuola di teatro dialettale gratuita per ragazzi: macché. Non conosco le persone giuste.

E degli attori comici ‘attuali’ cosa pensa? Qual è il livello in generale?
C’è chi è bravo e chi è noto.
Tra i suoi personaggi di successo, oltre al Cafone, c’è anche quello di Bin Latren, parodia del terrorista islamico. Ha anticipato persino Charlie Hebdò..

Io allora abitavo a Cavalleggeri, un pomeriggio ci fu un’esplosione. Mi fratello mi chiamò allarmato: quel personaggio che fai è pericoloso, questo è stato un avvertimento! Era la signora affianco che s’er scurdat o zuffritt ncopp o fuoc…

A distanza di anni i suoi sketch di Telecafone si continuano a vedere sul web.

Per la televisione ho realizzato un format che si chiama “Vip a tutti i costi”: un mix di reality e sceneggiata in cui racconto, e ironizzo, sulle storie di chi è disposto a tutto pur di diventare famoso. A dicembre, invece, debutto con la mia compagnia al Teatro Totò con una commedia di mio zio Gaetano Di Maio, “Mettimmece d’accord e vattimmec”, ispirata alla storia della mia famiglia. Una storia lunga 150 anni che porto con onore sulle spalle.

 

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