Pandemia e pantomima

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

Non passa giorno senza la consueta razione di cifre riferite al numero degli infetti ed a quelli deceduti a causa del Covid 19. Subito dopo passa un servizio con l’immancabile intervista al solito esperto di turno in materia di vaccini, il quale si barcamena fornendo rassicurazioni tanto vaghe e futuristiche da somigliare al vaticinio degli aruspici e dei veggenti. La sensazione che se ne ricava è quella della stanchezza e del disincanto della gente innanzi al ripetersi, da molti mesi, di una recita a soggetto: una specie di tragedia greca che, allorquando raggiungerà il suo culmine, vedrà apparire un deus ex machina che sbroglierà l’intricata matassa. Una divinità che da mesi si dice sia il vaccino, il quale calando dall’alto dell’immunità di gregge ristabilirà il bene sul male, facendo anche giustizia degli empi e dei malvagi, che certo non sono mancati nella vicenda coronavirus.

Tuttavia più che andare verso la soluzione della pandemia, trovare certezze ed ipotesi di superamento delle restrizioni produttive, commerciali e sociali che stanno strozzando la Nazione, turbando finanche la pacifica e civile convivenza, ci troviamo innanzi a diverse delusioni. La prima disillusione, prevista e prevedibile, è la limitata efficacia della terapia vaccinale, presentata dagli scienziati istituzionalizzati e dai mass media omologati, come una vera e propria panacea. Per quanti non lo sapessero, la microbiologia e la virologia sono branche della Biologia e della Medicina abbastanza vecchie e molto praticate, fino al punto di sapere innanzi tempo che le mutazioni dei virus ad RNA (il codice genetico) sono frequentissime.

Finora siamo ad oltre ventimila mutazioni, alcune delle quali hanno modificato sostanzialmente la conformazione di quella proteina, detta Spike, che caratterizza il sistema di aggancio del virus alla superficie della cellula. Un fenomeno, quello dell’aggancio, mediato, peraltro, anche da altri fattori che è sostanzialmente simile al modello della chiave che apre una specifica serratura. Il vaccino produce un fenomeno attraverso il quale il nostro sistema di protezione immunitaria è capace di neutralizzare le proteine costituite dalla chiave che il virus utilizza per entrare nelle cellule. Se, a causa delle mutazioni a cui il virus va incontro, cambia la forma e la composizione della chiave, di conseguenza anche il sistema di protezione rischia di risultare inefficace.

I vaccini, peraltro prodotti in fretta e furia, ancora in fase sperimentale (anche sotto molto profili riguardanti l’effettiva sicurezza), risentono quindi delle mutazioni alle quali può andare incontro il sistema adoperato dal SarsCov2 per introdursi nel nostro organismo. Varianti che conosciamo tutti con i nomi ormai tristemente famosi di Inglese, Brasiliana, Indiana, Sud Africana. Ora è in arrivò anche quella Tanzaniana che pare sia portatrice della più alta percentuale di mutazioni. Insomma, è ormai chiaro che la vaccinazione di massa non eradica definitivamente il morbo, non esaurisce la pandemia virale.

Innanzi a questo scenario liquido e mutevole sarà mai possibile determinare un’immunità di gregge duratura? La vaccinazione dovrà essere rinnovata ogni quanti mesi e sull’intera popolazione italiana? Pesano come due macigni entrambi gli interrogativi e ciò nonostante si continua con l’ottica del battage che indica nella vaccinazione di massa il criterio risolutivo. Quali siano gli interessi posti alla base di questa politica, che non cambia la modalità d’azione incentrata sul binomio chiusure generalizzate delle attività e vaccinazioni a tappeto, non si riesce ancora a capirlo nel panorama internazionale. Ribadire che occorre cambiare è un appello tanto ripetitivo quanto inascoltato ed irricevibile dai principali media.

Identificare i soggetti fragili e più esposti al virus, controllandoli periodicamente in casa e, alla positività del test molecolare, praticare sui medesimi terapie con anticorpi monoclonali e quanto altro necessario, sembra un miraggio. Eppure le statistiche parlano chiaro: alta la percentuale dei guariti in casa, sensibilmente più bassa quella dei ricoverati in strutture ospedaliere, divenute esse stesse fonte di propagazione dell’infezione. Emergono peraltro ancora più nitide altre responsabilità nella gestione dell’emergenza, sfruttate peraltro solo ai fini di una strumentalizzazione politica contro il Ministro della Salute, ma che non hanno cambiato di una virgola il modus operandi.

Emergono da fonti private immagini e racconti raccapriccianti sulla gestione a Bergamo della prima fase dell’epidemia, con un’eccessiva artificiosa rappresentazione del numero dei decessi. Insomma: buona parte di quei camion militari, in fila, carichi di bare, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, pare fossero semi-vuoti. Dopo le mancate autopsie, l’errore nelle diagnosi e le mancate cure, anche una sceneggiata? Pandemia che vira verso la pantomima!

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