Roberto Saviano sotto processo, ora è accusato di diffamazione

Lo scrittore condannato per plagio ha definito “bastarda” la Meloni

Roberto Saviano

ROMA – E’ partito ieri mattina il processo per diffamazione a carico di Roberto Saviano. Un personaggio televisivo che nel 2016 è stato condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione per il plagio degli articoli dei giornalisti di Cronache nel romanzo che lo ha portato al successo, “Gomorra” (edito dalla Mondadori di Silvio Berlusconi). Oggi Saviano torna nelle aule di giustizia, ancora una volta in veste di accusato. E’ infatti imputato davanti ai giudici di Roma per le offese rivolte all’attuale premier Giorgia Meloni (il leader della Lega Matteo Salvini si è costituito parte civile).

I fatti

I fatti risalgono al dicembre del 2020. Lo scrittore era ospite della trasmissione Piazzapulita, su La7 (il cui editore, Urbano Cairo, è lo stesso che edita il Corriere della Sera, quotidiano del quale Saviano è oggi collaboratore). Parlando di Salvini e Meloni, li definì “bastardi”. Una espressione che (secondo i pubblici ministeri che hanno chiesto e ottenuto dai giudici il rinvio a giudizio di chi l’ha pronunciata) lungi dal rappresentare una espressione del sacrosanto diritto di critica configurerebbe una mera violazione del diritto di ogni essere umano a non veder offesa la propria reputazione con espressioni offensive.

La difesa

Il giorno dopo la messa in onda della trasmissione, il linguaggio utilizzato dallo scrittore è stato oggetto di un vivace dibattito sui limiti del diritto di critica. Lo stesso Saviano, che a margine dell’udienza di ieri si è difeso appellandosi ad esso, qualche tempo fa aveva querelato il giornalista Paolo Persichetti. Il quale, in alcuni articoli pubblicati sul quotidiano Liberazione, aveva solo messo in discussione la veridicità di alcuni fatti riferiti dallo scrittore in un suo libro. In particolare, si parlava di una telefonata che Saviano affermava di aver ricevuto dalla madre di Peppino Impastato, Felicia. Persichetti sosteneva che quella telefonata non era mai stata fatta, basandosi anche sulle dichiarazioni rese dalla nuora di Felicia e da Giovanni Impastato, fratello di Peppino. L’altra contestazione formulata dal giornalista di Liberazione riguardava la ricostruzione delle circostanze che avevano determinato la riapertura delle indagini sull’omicidio di Peppino Impastato. Secondo Saviano, il merito era da attribuire al film “I cento passi” di Marco Tullio Giordana. Secondo Persichetti era stata soprattutto il frutto delle battaglie del Centro Peppino Impastato. Nel 2013 il gip dispose la archiviazione del procedimento.
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