Senatori scelti come serie TV

Bisogna fare un’opportuna premessa: non sono un patito di cinema né tantomeno di serie TV. Qualcosa invece ne capisco, di dati digitali e algoritmi o di digital marketing, ed è per questo che mi incuriosisce il mondo del VOD, video on demand. Mi incuriosisce perché, da utente e non da cinefilo, sempre più spesso le proposte che le piattaforme OTT mi piazzano in prima pagina sembrano mancare totalmente di spessore. Mi spiego: sappiamo tutti che dietro un colosso come Netflix (per citare l’esempio più noto) ci siano meccanismi di machine learning che analizzano enormi quantità di dati creando mappe n-dimensionali che sappiano profilarci sempre più dettagliatamente e proporre titoli che siano affini ai nostri gusti. Quello che forse non sappiamo, ma che è fatto altrettanto noto, è che la stessa filosofia Netflix la applica per decidere cosa produrre in futuro. L’intelligenza digitale non è più solo una features per migliorare la nostra esperienza utente e proporci cosa in catalogo possa interessarci di più; diventa, anzi, previsionale, quasi un modo per vincere con facilità le scommesse su cui in futuro puntare.
Sebbene è dai Vangeli che sappiamo che il popolo sceglie sempre Barabba, questa macrotendenza di fatto conforma l’offerta, spingendo la produzione e la scelta di nuovi contenuti verso una uniformità degli stessi. O spesso spremendo i limoni. Come per la famigerata “Casa di Carta”, resuscitata da un’operazione di marketing da incorniciare nel solco di una rivoluzione che non rappresenta, che non vuole proprio finire. O si veda “You”, attualmente tra le prime in classifica sulla piattaforma Netflix, adattamento seriale dell’omonimo libro di Caroline Kepnes. La prima inquietante stagione metteva sul tavolo stalking, abuso dei social, ossessione psicologica capovolgendo il punto di vista, dando alla stessa una profondità tale da scuotere gli animi. L’ultima, completamente in seno agli showrunner, è un giocattolone di psicopatia spicciola dove le pretese di riflessione sociale sono solo abbozzate, al punto tale da renderle trascurabili in un marasma di sangue e violenza.
Se la mettiamo in questi termini, persino le parole di Nanni Moretti (che in occasione della presentazione del suo ultimo film a Cannes ha detto di non aver voluto sapere quanto offrivano Disney e compagnia per averlo) perdono quella connotazione da snobismo intellettuale da amante del cinema, dei pop-corn e dell’odore delle poltrone per assumere un significato diverso. Far scegliere a una macchina cosa vale la pena produrre o proporre è uno scenario che tarpa le ali alla creatività, alle idee, alle fabbriche dei sogni (come proprio Disney del resto definiva la sua azienda, ora altro colosso del video on demand). Se il cinema – o il prodotto cinematografico – è un’arte, questa non va d’accordo con gli algoritmi. È un fatto.
Questa lunga premessa ci permette di tornare ora a Palazzo Madama, sede del Senato, che nell’immaginario collettivo è un luogo dove saggi e canuti uomini e donne incarnano la più raffinata e consapevole rappresentanza istituzionale possibile. Anche lì, da anni, entrano prodotti numerici oltre che politici. Persone che hanno avuto un seguito importante su una piattaforma digitale e per questo il Partito, il Movimento o la società li ha premiati. Così, nel consesso più autorevole del nostro Paese oltre alla qualità sono arrivati i complottisti della prima ora (quelli che sostenevano che i forni a microonde ci spiano o che le scie chimiche sono reali), i riottosi di Facebook che hanno investito più sui consulenti social che sulla formazione politica etc.etc. fino a sorprenderci che poi – come spesso accade – si gioisca come allo stadio per essere riusciti a “ghigliottinare” un DDL Zan, che aggiunge un rigo di tutele al Mancino, come una vittoria e non come la sconfitta di un sistema incapace di mettere un punto a una questione che in Parlamento stagna da tempo immemore.
Il rischio degli algoritmi che continuano a mostrarci cosa o chi vedere è che ci disabituiamo al bello/bravo, al giudizio, alla scelta. Finendo per avere addosso quella sensazione di non scegliere nulla. Nonostante le stesse serie TV che pigramente non apprezziamo sono come la mediocre classe dirigente che disprezziamo: espressione unica delle nostre decisioni.

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