‘Stese’, omicidi e bombe a mano, la faida dei Decumani

NAPOLI – “Comm so’ bbell e bott e risposte”: 4 ottobre 2015, ovvero la guerra a colpi di bombe. Alle 2 di notte un petardo scoppia in via Oronzio Costa, la roccaforte dei Buonerba, con i ‘capelloni’ che rispondono all’affronto alle 23 dello stesso giorno con un ordigno vero esploso vicino casa del ‘nannone nel ‘buvero’. Di quest’ultimo episodio sono accusati Gennaro Buonerba e Massimo Amoroso.

Amoroso si offrì di accompagnare il capo in quel raid che portò con sé una MK2 un’ananas di fabbricazione americana al vico Pergole Sant’Antonio. L’ordigno fu lanciato a circa centro metri dallo stabile dove abitava Antonio Napoletano, il quale stava ancora festeggiando la roboante vittoria del Napoli a San Siro: in virtù della partita in strada c’era poca gente e la coppia ne approfittò per agire nell’ombra. L’esplosione provocò notevoli danni ad un ristorante di piazza Volturno nonché ad un negozio d impianti acustici dello stesso vicolo.

L’antefatto

A scatenare quel gesto dei Buonerba fu il grosso petardo fatto esplodere la notte precedente e che provocò notevole apprensione tra i familiari di Gennaro. “Devo pigliare due bottiglie di vetro, le devo scamazzare e le devo mettere nello zolfo, devo fare una strage” dice Gennaro Buonerba, intercettato mentre pianifica la violenta reazione. Nonostante il possesso della MK2, i ‘bombaroli’ non la sanno utilizzare, tant’è che seguono le istruzioni su Internet, capendo di avere cinque secondi di autonomia dal lancio. Oltre alle captazioni telefoniche i due verranno incastrati anche dalle telecamere di video sorveglianza piazzate nel loro covo.

Le precauzioni e la vendetta

Dopo il raid la preoccupazione per una possibile contromossa dei rivali aumenta e vengono pertanto prese tante precauzioni, tra cui quella di non mandare a scuola i bambini il giorno dopo, né di andare a lavorare e né di andare a fare la spesa. Botta e risposta che portò i Buonerba anche a reagire il giorno dopo l’omicidio del meccanico Luigi Galletta, avvenuto il 31 luglio del 2015. Un innocente ammazzato solo perché sospettato di non voler rivelare il nascondiglio di un suo cugino affiliato ai Buonerba.

Il 1 agosto, infatti, Salvatore Mazio e Vincenzo Rubino, secondo l’accusa, si resero protagonisti di una ‘stesa’ nel Borgo Sant’Antonio Abate alla ricerca del nannone o comunque di altri esponenti dei Sibillo. In sella ad un motorino, i due esplosero diversi colpi proprio contro l’abitazione di Antonio Napoletano con una pistola Bernardelli. “Siamo stati dentro al ‘buvero’ dove sta quell’incrocio pericoloso e…bum bum bum” spiegano al loro capo al telefono provando ad imitare il rumore delle ‘botte’. Quella sera nel vico Pergole c’erano gli amici del ‘nannone. “Non vi vogliamo fare niente – le parole pronunciate nel corso dell’irruzione – ma ditegli al nannone che lo dobbiamo uccidere”. Gennaro Buonerba, però, si rammarica che si poteva sparare almeno a qualcuno dei presenti, tra i quali Peppe o’nirone. “Stava appoggiato alla macchina in mezzo alle femmine – gli risponde Rubino – ma come fai a fare una cosa del genere”.

L’autista di Napoletano

Tra i pentiti che hanno consentito con le loro dichiarazioni di far luce sulla ‘guerra’ per il predominio degli affari illeciti del centro storico di Napoli ce n’è uno nuovo, Gennaro Buonocore, che ha deciso di cominciare a collaborare con la giustizia da novembre 2018. Il 31enne è considerato un esponente dei Mazzarella, in rivalità coi Sibillo. Nel verbale del mese scorso spiega di conoscere Luca Capuano, noto nell’ambiente come ’o cafone, inquadrandolo come autista di Antonio Napoletano

Spari in discoteca

Un altro pentito, invece, Nunzio Montesano, parla di un episodio inquietante che risale al 2015, una vicenda nata per divertimento che rischiò di tramutarsi in tragedia. Per festeggiare il compleanno di un 32enne coinvolto in un’indagine sul traffico di droga al Parco Verde di Caivano un gruppo di amici decise di trascorrere la serata alla discoteca Metropolis di Ischitella. A questi si unì anche Antonio Napoletano, il quale, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia ebbe una discussione con alcune persone del clan Amato-Pagano. “’O nannone andò vicino ad una Smart bianca di un suo amico per prendere una pistola che stava in macchina, ma il suo amico che aveva le chiavi era rimasto nel locale”. Uscì allora, un altro giovane che, stando alla sua ricostruzione, sparò nel vetro della vettura per aprirla. E ’o nannone prese la pistola, si tolse la maglietta e sparò all’impazzata fuori il locale.

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