Torino, sfruttamento del lavoro e reati fiscali: sequestri per 85mila euro

Operazione dei Carabinieri

Foto Ufficio stampa Carabinieri/LaPresse

TORINO – Cinque misure cautelari e sequestro di beni e denaro per 85mila euro per sfruttamento di lavoratori e reati fiscali: dalle prime ore dell’alba, a Torino, Mappano e nella provincia di Cagliari, i carabinieri e la guardia di finanza di Torino stanno eseguendo i provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria torinese, nell’ambito dell’operazione Marco Polo.

I provvedimenti vengono eseguiti dai Carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Torino, supportati dai colleghi dell’Arma territoriale, unitamente a militari del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza del capoluogo piemontese.

I reati contestati sono sono associazione per delinquere, sfruttamento del lavoro, reati fiscali di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

Il procedimento penale scaturisce da un controllo eseguito il 30 gennaio 2019 dai carabinieri del nucleo ispettorato del lavoro di Torino unitamente a personale dell’Itl e da una denuncia-querela presentata da cittadini extracomunitari richiedenti asilo, che lamentavano condizioni di sfruttamento lavorativo quali dipendenti di un’azienda di Torino che si occupava del confezionamento di pennarelli e penne.

Dalle indadini è emerso che due indagati risultavano amministratori di una società di Torino che aveva stipulato contratti di fornitura di servizi per il confezionamento di scatole di pennarelli, penne e matite, con due diverse società committenti. In particolare, la società affidataria dei lavori, non disponendo di lavoratori dipendenti, poteva vantare un DURC regolare.

In realtà, i lavori venivano subappaltati ad altre imprese amministrate da familiari sodali, i quali provvedevano ad assumere formalmente i lavoratori che dovevano occuparsi del confezionamento.

Agli oltre 40 lavoratori individuati, tutti extracomunitari e in attesa del rilascio del permesso di soggiorno/protezione internazionale, veniva corrisposta in maniera reiterata una retribuzione difforme dai contratti collettivi nazionali, sproporzionata rispetto alla quantità del lavoro prestato (a fronte di 10 ore di lavoro quotidianamente svolte, senza peraltro fruire di riposi settimanali, venivano riconosciute retribuzioni da 350 ad un massimo di 600 euro mensili, e comunque in base ai confezionamenti effettuati giornalmente), in violazione dei diritti garantiti e delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, approfittando del loro stato di bisogno.

(LaPresse)

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome