Working poor e pantomime social, il dramma non fa più ridere

In quel posto diabolico che è LinkedIn, la vittoria psicologica del padronato nei confronti dei dipendenti si consuma in diversi modi. Capita ad esempio di vedere giovani dopo anni di stage esultare con lo spumante per essere stati assunti come commessi a tempo indeterminato come fosse un qualcosa di straordinario. O leggere, come mi è capitato, sotto il post del classico imprenditore / startupper / genio de’ noantri che lamentava di non sapere quanto era giusto pagare una risorsa (dipendente) perché “e io che ne so che quello alle 17.10 non vuole tornare a casa” di trovare la soluzione della vita da parte di una persona che si descriveva come docente di qualcosa che ora non ricordo che recitava invece di “prendere partite IVA come collaboratori” senza manco accorgersi della gravità dell’appena pronunciato.

La verità invece è che siamo un Paese rovinato nell’anima e proprio a causa del lavoro, ed il Mezzogiorno ne è un esempio lampante. Secondo l’ennesima ricerca di qualche giorno fa – stavolta quella commissionata dal Ministero del Lavoro che ci ha messo su 8 esperti guidati da Andrea Garnero giusto per essere sicuri che il trend mondiale lo abbiamo declinato anche noi a nostra maniera – in Campania oltre il 42 percento dei lavoratori si può definire working poor. Ossia, povero nonostante lavori. Quarantadue percento è una cifra vergognosamente alta, si avvicina a quel 50 percento che, per parafrasare un adagio di Daniele Luttazzi, vuol dire che, se il povero non sei tu, è il tuo partner.
Ma cosa vuol dire working poor? Cosa è questa drammatica emergenza che è nelle nostre vite e al pari del Covid ormai quasi non ci facciamo caso? Vuol dire – traducendo l’ennesimo inutile inglesismo – che la gente è sotto una soglia di povertà nonostante lavori. Ossia? Ossia in Campania il 42 percento di persone è da ritenersi povero nonostante in un qualche modo lavori. Nell’epoca delle diseguaglianze da pandemia e dei ricchi che sono diventati più ricchi e i poveri più poveri, anche chi lavora non può dirsi sufficientemente ben retribuito da non definirsi povero. Il perché? Un’apoteosi di baggianate come quella dei collaboratori con partita IVA di cui sopra, ma anche l’apoteosi di contratti a termine, stage o altre forme parallele per assorbire forza lavoro a gratis. In Italia non si contano più quante svariate tipologie di lavoro un tempo definito semplicemente precario si contano, con placido benestare dello Stato e incredibile disattenzione di Forze dell’Ordine e Agenzia delle Entrate che invece proprio in queste ore gioisce per l’ennesimo strumento di controllo incrociato per trovare i “maledetti” evasori fiscali. Non tanto i grandi(ssimi) evasori, sia chiaro: quelli sono bravi ad evitare i controlli da anni, come ci dicono i numeri stimati, e chissà se cambierà davvero qualcosa adesso. Intanto un esercito di persone che fa piroette di sopravvivenza tra fatture, contratti fasulli e lavori a cottimo continua a scalpitare e più si scende a sud più scalpita, sgomita, ogni giorno prova a sopravvivere.

Come recitava un famoso monologo di Massimo Troisi, del resto, al sud lavoro senza una parola affianco non si trova più. Lavoro a tempo, (scuola) lavoro, lavoro part time, lavoro saltuario, lavoro a chiamata (job on call). Una serie di tipologie d’erogazione che da un lato fanno festeggiare Brunetta e chi per esso quando questa massa informe di lavoratori poveri e senza diritti contribuiscono a far diminuire con i loro contratti farlocchi e le loro piccole entrate le percentuali di disoccupazione nazionale (come recita l’Istat nell’ultima rilevazione – e ciò nonostante restiamo schifosamente indietro per numero di occupati), dall’altro contribuiscono a far restare povero chi è povero, ricco chi è ricco, far uscire tfr imbarazzanti da buste paga di chiusura rapporto, distrugge tutele sacrosante guadagnate negli anni e fa sognare l’estero ai nostri giovani.

Siamo morti dentro mentre su LinkedIn va avanti una pseudopantomima di quella bellissima mobilità lavorativa che vorremmo importare dal modello americano ma che assume i toni del grottesco quando tonnellate di formazione erogata ci restituiscono numeri da ultima ruota del carro in Europa. La situazione è drammatica, la classe dirigente colpevole si preoccupa di cose come la leadership di movimenti e coalizioni che ci interessano meno di zero e ci fanno perdere solo tempo mentre non c’è altro tempo da perdere.​

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