CAIVANO – “Chi non caccia i soldi deve subire”, disse Salvatore Russo, alias Gargamella, il 25 novembre del 2019 durante una conversazione con Massimo Gallo, Fabio Pagnano e Vincenzo Di Paola, alias ’o mafius. Così il clan Gallo-Angelino intendeva allungare i propri tentacoli su Caivano. Anche perché in città, all’epoca, c’era un vuoto di potere. I Sautto–Ciccarelli erano stati già azzerati dai blitz e nell’ambiente criminale si sapeva: le famiglie Gallo e Angelino erano già pronte a raccogliere l’eredità dei ‘signori della droga’ del Parco Verde. Ma bisognava imporsi ed esporsi. Come? Con le estorsioni a raffica. L’attività di indagine ha consentito di accertare che Antonio Angelino, dopo essere ritornato in libertà ad ottobre 2019, approfittando del momento di vuoto creatosi in conseguenza degli arresti dei principali affiliati al clan Sautto, insieme a Massimo Gallo, ha iniziato a gestire le attività estorsive ai danni dei commercianti di Caivano e dei paesi limitrofi in termini di continuità con quelle già perpetrate dal clan Sautto-Ciccarelli. E’ infatti emerso dalle indagini che molti degli imprenditori estorti erano già vittima di estorsione da parte dei clan che operavano, in precedenza, sul territorio. Tale circostanza non è senza rilievo in quanto da un lato rende palese l’operatività della nuova consorteria sul territorio, e dall’altro consente ai membri del nuovo clan di beneficiare del clima di assoggettamento già esistente sul territorio, così da rendere superflua la esplicitazione di qualsiasi minaccia funzionale all’ottenimento di un ingiusto profitto. In altri termini in alcune vicende emerge che la minaccia avviene in modo implicito, essendo sufficiente far riferimento al “necessario e doveroso regalo” così da rendere palese all’interlocutore la provenienza della richiesta dalla consorteria operante sul territorio.
La sua sinergia criminale si è basata, secondo gli inquirenti, sul solco scavato dai Sautto-Ciccarelli, tant’è che i Gallo-Angelino erano in possesso di una sorta di ‘lista’ di imprenditori e negozianti già vittime di estorsione in passato per mano degli ex padrini di Caivano. In numerose conversazioni, infatti, si fa riferimento alla “lista delle estorsioni”. Gli indagati erano soliti parlare tra loro in modo esplicito delle attività estorsive poste in essere a tappeto ai danni di commercianti e imprenditori sul territorio di Caivano, in modo da esercitare un controllo capillare su tutte le attività produttive, tant’è che è stata predisposta una lista con uno specifico tariffario che prevede l’indicazione di quanto dovuto da ciascun imprenditore.
F’ emerso, poi, che il prezzario stabilito nella lista era immodificabile, nel senso che non potevano farsi sconti a nessuno. Nella stessa conversazione accennata all’inizio, Salvatore Russo affermò “nessuna tarantella” e che agli imprenditori conveniva spendere 5mila euro piuttosto che riparare i danni che gli avrebbero prodotto. Tale Enzuccio, non ancora identificato, d’altronde rispose: “Invece di spendere 5mila euro ne devi spendere 30mila-50mila”. Vincenzo Di Paola, alias ’o mafius, personaggio di spicco del sodalizio, fu chiaro: “Perché sono proprio io che lo incendio”.
Ma l’obiettivo dell’organizzazione, stando alle parole pronunciate in un’occasione da Massimo Gallo, e intercettate dagli investigatori, era quello di non fare troppo rumore dopo il crollo dei Sautto-Ciccarelli. Un periodo storico favorevole ai Gallo e agli Angelino. Nella strategia estorsiva posta in essere ai danni di un imprenditore, il 4 dicembre 2019, Gallo dichiarò ad Antonio Guerra (indagato a piede libero) che era arrivato il momento di “prendersi le sue giuste soddisfazioni” evitando però di fare delle spavalderie ora che a Caivano non c’erano più i vecchi delinquenti a comandare, ma non disprezzando all’occorrenza l’uso delle armi per raggiungere i loro obiettivi criminali. I nuovi boss sentivano che il controllo di Caivano fosse un loro diritto: “Abbiamo reclamato i soldi delle estorsioni perché a Caivano ci sta Tibiuccio, ha fatto 36 anni di carcere ed è giusto così”, disse Massimo Gallo in un’occasione. Di Paola era dello stesso avviso: “Gli spetta di dovere”.
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