Boccia a “Cronache”: Infrastrutture e sostegno alle industrie, ecco il mio piano per il Mezzogiorno

Il presidente di Confindustria: "Il federalismo? Sì, a patto che le Regioni non diventino repubbliche indipendenti"

Foto Richard Morgano/LaPresse

NAPOLI – Non è uno che aspetta proposte, Vincenzo Boccia. Piuttosto, le fa. L’ultima risale a ieri, annunciata al convegno di Intesa San Paolo a Milano: un patto sociale per il lavoro tra governo, imprese e sindacati per far ripartire l’Italia. Per il presidente nazionale di Confindustria è una priorità. Anzi, la priorità, come si evince dalla lunga intervista rilasciata a Cronache, in cui affronta, in maniera chiara e diretta, i nodi da sciogliere in materia di economia. Senza piangersi addosso ma, come è solito, proponendo. E sperando di trovare interlocutori interessati ai risultati più che alla propaganda.

Presidente, ha mostrato non poco scetticismo rispetto agli ultimi provvedimenti del governo. Su tutti il reddito di cittadinanza. Ci spiega perché?

Perché, pur riconoscendo che affronta un argomento importante come il contrasto alla povertà, non risolve il problema principale del Paese che è il lavoro, in particolare quello dei giovani. E il lavoro si crea con gli investimenti, pubblici e privati. Nel caso specifico vediamo delle criticità nel come si arriva all’obiettivo: la possibilità di rifiutare le proposte di lavoro superiori a una certa distanza (la prima nel raggio di 100 km, la seconda nel raggio di 250) dalla propria residenza, in un contesto che vede, al sud, una disoccupazione media giovanile al 38% in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania (ultime 4 su 276 aree regionali d’Europa); l’evidente sproporzione tra le 8 ore di lavoro settimanali obbligatorie per i percettori di un reddito di cittadinanza fissato in media a 780 euro e un salario in entrata, per chi entra nel mondo del lavoro, di circa 1.000 euro, su cui incidono tasse e contributi per circa il 70%. Non è in discussione l’esigenza di uno strumento universale per il sostengo delle fasce sociali disagiate e il contrasto alla povertà, ma questa finalità andrebbe, a nostro giudizio, tenuta distinta da quella di politica attiva, vale a dire dalle politiche e dagli strumenti necessari a favorire la nuova occupazione.

Le obiezioni maggiori riguardano il ruolo dei centri per l’impiego. Pensa che riusciranno a fare rete con gli imprenditori per rendere efficace il provvedimento?

Chi ha avuto esperienza del funzionamento dei centri per l’impiego non può che nutrire seri dubbi sulla possibilità che in pochi mesi diventino efficienti e funzionali alla riforma. Naturalmente c’è sempre bisogno della prova del contrario e ci auguriamo che ci sia la minore dispersione possibile di tempo e risorse. Anche per il funzionamento di una misura che non condividiamo come il Reddito di cittadinanza. Ma, ripetiamo, il punto è creare le condizioni per incrementare l’occupazione.

Meglio Quota 100 o la legge Fornero?

La domanda dovrebbe essere un’altra: possiamo permetterci Quota 100 o dobbiamo tenerci stretta la Fornero? Il problema, infatti, è fare i conti con la sostenibilità economica del sistema pensionistico mentre l’aspettativa di vita cresce fortemente. Non crediamo automatica, comunque, la sostituzione di anziani che escono con giovani che entrano nel mondo del lavoro. 

Gli ultimi dati Istat non sono confortanti: siamo davvero sull’orlo di una nuova recessione? Per colpa di chi e di che cosa?

Recessione è un termine molto forte e speriamo vivamente di non doverlo pronunciare a ragion veduta. Tuttavia, le previsioni delle principali istituzioni internazionali e nazionali – Fondo monetario, Banca d’Italia, Ocse e anche Confindustria – indicano una crescita nel 2019 molto lontana dall’obiettivo che si è dato il governo: in media lo 0,5 per cento contro l’1 per cento inserito in manovra. Dunque, la metà. Proprio perché il governo possa essere coerente con se stesso e rispettare gli impegni che ha preso con i cittadini e con l’Europa suggeriamo che alle misure contenute nella legge di bilancio si sommi l’utilizzo delle risorse già stanziate per dotare il Paese delle infrastrutture strategiche di cui ha urgente bisogno, a partire ad esempio dai 26 miliardi già stanziati per attivare immediatamente i cantieri e generare occupazione per 400.000 persone.  

Ha recentemente preso posizione su autonomie e federalismo. Anche in Campania c’è chi spinge per questa strada. Per lei è percorribile?

È percorribile se l’obiettivo è quello, condivisibile, di rendere il Paese più efficiente e meglio organizzato nel rispetto del dettato costituzionale che non prevede si formino cittadini di serie A e cittadini di serie B. Non siamo contrari all’attribuzione, alle Regioni che lo desiderino e lo chiedano, di nuove competenze e relative risorse, a patto che non si generi confusione con la creazione di tante repubbliche indipendenti, si rispetti il principio della perequazione a favore dei territori più deboli economicamente e si preveda una clausola di supremazia in capo al governo centrale su alcune materie non devolvibili nei casi di conflitti tra Stato e Regioni.

Da campano, anzi, da salernitano, come giudica la gestione della Regione da parte di Vincenzo De Luca negli aspetti che riguardano il suo ruolo? Pensa che si stia facendo abbastanza per il rilancio economico della Campania?

Noi giudichiamo provvedimenti e risultati. La Regione Campania ha potenziato con gli strumenti regionali le misure nazionali d’incentivazione agli investimenti privati. Non a caso la Campania negli ultimi anni è cresciuta di più delle altre regioni del Mezzogiorno e presenta una vivacità imprenditoriale che andrebbe ulteriormente incoraggiata. 

In che modo il Mezzogiorno può uscire dalla subalternità economica al Nord e porsi come traino?

Il Mezzogiorno ha dentro di sé potenzialità enormi. E possiede una ricchezza straordinaria nei suoi giovani per i quali andrebbe avviato un grande piano d’inclusione nel mondo del lavoro. Il Sud può e deve crescere potenziando le misure valide nel resto del Paese perché i suoi problemi sono gli stessi ma più accentuati. Occorre un grande piano di investimenti pubblici in infrastrutture e una serie di strumenti di politica economica che dovrebbe salvaguardare la base industriale del Mezzogiorno.  

Si avvia alla fine del mandato: cosa desidera fare entro il prossimo anno e cosa c’è nel suo futuro?

Per la fine del mandato ci vuole ancora un anno e mezzo, il mio obiettivo è ed è sempre stato fare bene e con responsabilità il mio ruolo in questo presente.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome