Coniugare città e natura è possibile

NAPOLI (Angelo Baldini) – In vista della giornata di domani, dedicata alla natura urbana “Città nature positive”, il WWF pubblica il report “Urban nature 2021”. Tre i filoni principali del nuovo dossier: “decementifichiamo le città, “nutriamo la biodiversità” e “rinverdiamo le nostre scuole”.

Città e natura: un binomio
possibile?

Secondo il report, non è più possibile pensare alla natura come un qualcosa di diametralmente e antiteticamente opposto alla nostra civiltà. Queste due realtà devono convivere e trovare i giusti spazi. Nel momento in cui più della metà della popolazione mondiale vive in città e che queste sono le fonti di maggiore emissioni di inquinanti, gli studiosi che hanno curato lo studio ritengono inutile continuare a pensare alla natura come a un qualcosa che va tutelato al di fuori dei centri abitati e viceversa.
“Le nostre città vanno ripensate per affrontare la crisi climatica e migliorare il benessere e la qualità della vita delle comunità – afferma Donatella Bianchi, presidente del Wwf – Riportare la natura in città servirà anche ad invertire la curva della perdita di biodiversità che sembra oggi irreversibile”. A tal proposito, il report ha messo la riduzione della quantità di cemento tra gli obiettivi principali da perseguire dal nostro Paese. Stando ai dati snocciolati, il consumo di suolo in Italia si attesta su cifre allarmanti. Ogni settimana consumiamo 50mila metri quadrati di suolo.
A questa situazione non ci sarebbero risposte adeguate da parte della politica. Due milioni e mezzo di persone, infatti, vivono in città i cui strumenti urbanistici non vengono aggiornati dal 1977 e hanno ricevuto modifiche soltanto tra il 1969 e il 1997, per l’appunto. Un periodo decisamente diverso da quello che stiamo vivendo oggi e le cui esigenze abitative non possono essere paragonate a quelle attuali. Coniugare natura e urbanizzazione è comunque possibile. La Spagna e la Scandinavia ne sono l’esempio. A Barcellona, l’area metropolitana si è sviluppata tenendo conto della biodiversità e dei servizi ecosistemici. Una programmazione portata avanti con tutti gli stakeholder, ovvero i portatori di interesse del territorio: associazioni cittadine e di categoria, classe imprenditoriale. Stesso discorso portato avanti nella regione della Galizia, dove sono state riservate delle “fasce tampone” proprio a protezione delle specie animali e fatte delle nette distinzioni tra le aree agricole e forestali, per impedire che una prevalga sull’altra. Sono discorsi che in questi paesi sono portati avanti da anni e che non si sono certo sviluppati per caso e all’improvviso.

Nutriamo la biodiversità,
l’esperienza di Bergamo

Se altri paesi sono indubbiamente avanti, su una linea generale, rispetto a noi, è comunque vero che il nostro Paese presenta dei casi virtuosi che possono essere presi a modello. Uno di questi casi riguarda le mense scolastiche di Bergamo. Le diverse amministrazioni che si sono susseguite negli anni hanno incentivato la creazione di orti proprio poco fuori la città e hanno promosso l’utilizzo di questi prodotti nelle mense scolastiche della città. “Il passaggio di maggiore rilevanza – si legge nel report – è il rapporto con il territorio e la relazione tra campagna e città”. Tale modello di approvvigionamento ha avuto anche un ottimo riscontro dal punto di vista sociale, favorendo un’alimentazione più sana per i bambini e promuovendo la collaborazione tra istituzioni cittadini e le varie cooperative che coltivano gli orti.

Verde nelle scuole, le aule natura
Infine l’ultima direttrice profilata dallo studio è quella del verde nelle scuole. Al momento esistono 18 scuole in Italia che ospitano le “Aule natura”. Una è presente a Napoli. In queste aule sono presenti piante e piccoli giardini che vengono curati quotidianamente dagli alunni. In questo modo imparano a prendersi cura della vegetazione e a sviluppare degli approcci empatici e di dedizione che non sarebbe possibile sviluppare soltanto attraverso le lezioni frontali.

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