Csm, via libera dal Cdm all’unanimità alla riforma. Draghi: “C’è condivisione e impegno ad approvarla rapidamente”

Il premier: "Sul testo non verrà posta la fiducia"

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il testo Cartabia di riforma del Csm. “E’ stata una discussione ricchissima e anche molto condivisa grazie anche alle numerose interazioni con i partiti del ministro Cartabia e del sottosegretario Garofoli”, ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi in conferenza stampa. Il premier ha sottolineato l’impegno della maggioranza ad approvare in tempi rapidi la riforma, prima della prossima elezione del Consiglio Superiore della Magistratura, e senza porre la fiducia in Parlamento.  “La magistratura che va ringraziata per il quotidiano lavoro della stragrande maggioranza di magistrati”, ha sottolineato Draghi, facendo poi sapere che “i provvedimenti presi in Cdm riguardano la riforma del Csm ed anche la procedura per la vendita di Ita”.

“Il dovere del governo è proseguire e affrontare sfide importanti per gli italiani che sono quella immediata del caro energia, quello meno immediata ma preoccupante che è l’inflazione che sta aggredendo il potere acquisto dei lavoratori ed erodendo, anche se per ora non si vede, la competitività delle imprese, c’è poi l’uscita dalla pandemia e poi il Pnrr che sta andando molto bene”, ha affermato ancora il premier, che ha aggiunto:”Il Pnrr sta andando molto bene“.  “E’ fondamentale che la crescita non sia strozzata dal caro energia”, ha affermato il presidente del Consiglio preannunciato un intervento sulle bollette che sarà presentato la prossima settimana. 

“Questo percorso di rinnovamento innanzitutto ha a che fare con l’attitudine personale delle persone, lo diceva la Corte costituzionale: è una forma mentale, un costume, una coscienza. Ma norme più adeguate e più rigorose possono sostenere la magistratura in questo percorso”, ha detto la ministra della Giustizia, Marta Cartabia. “Questa riforma era dovuta, dunque, innanzitutto ai tantissimi magistrati che lavorano quotidianamente, silenziosamente fuori da ogni esposizione di ogni genere – aggiunge -. E lo dobbiamo ai cittadini che hanno diritto di recuperare a recuperare una piena fiducia nella nostra magistratura”.

Cosa prevedeva la riforma in discussione

 La principale novità rispetto alla bozza di riforma prospettata da Cartabia a fine anno riguarda il sistema elettorale dei componenti togati del Csm. Si parte da un sistema binominale maggioritario con una quota proporzionale e recupero dei migliori terzi. La ‘filosofia’ dell’introduzione della parte proporzionale, assicurano da via Arenula, è quella di favorire il pluralismo e contrastare lo ‘strapotere’ delle correnti. Per candidarsi, infatti, non servirà una liste di firme di magistrati che ti sostengono e si potrà ‘correre da soli’. “Anche chi non è iscritto a nessuna corrente può cercare di essere eletto senza logiche di appartenenza”, è il ragionamento. Il sistema convince i Dem, da sempre contrari al sorteggio come metodo di individuazione dei membri di palazzo dei Marescialli, mentre resta lo scetticismo degli altri partiti. “La quota proporzionale è un passo avanti, ma non è sufficiente”, tagliano corto dal M5S, e anche FI è contraria: “Noi non siamo favorevoli al sistema proporzionale e preferiamo invece avere il sistema del sorteggio”, dice chiaro Antonio Tajani, che attacca il metodo messo in campo dalla Guardasigilli. “I nostri ministri non potranno votare se non c’è un testo scritto che potrà essere esaminato e studiato in maniera approfondita”, è l’avvertimento. “Stiamo aspettando gli emendamenti del Governo da oltre 8 mesi. Pare che andranno in Consiglio dei ministri domani, ma non c’è ancora un testo, solo generiche illustrazioni orali. Se pensano di notificarci le loro scelte, facciano pure. Il nostro voto non è scontato”, attacca anche Enrico Costa da Azione. Gli emendamenti, assicurano da via Arenula, arriveranno ai partiti in modo da essere approfonditi e valutati. I nodi da sciogliere, però, restano.



Primo tra tutti quelli che riguarda le cosiddette ‘porte girevoli’, tema sul quale “si lavora fino all’ultimo”. Nella bozza presentata ai partiti a fine anno era previsto il divieto (valido sia per i sindaci e gli amministratori locali che per i parlamentari) di esercitare in contemporanea funzioni giurisdizionali e ricoprire incarichi elettivi e politici, come invece possibile oggi, con lo scopo di impedire il ripetersi di casi di magistrati (ultimo quello di Catello Maresca a Napoli) che abbiano in contemporanea incarichi elettivi e/o politici. Secondo le ultime ipotesi prospettate ai partiti, poi, il giudice che si candida e non viene eletto non può tornare a rivestire la toga per un periodo di tre anni. Su questo punto però Lega e M5S restano sulle barricate, chiedendo una distinzione definitiva tra le due carriere. Trattative in corso, infine, anche per quel che riguarda i magistrati fuori ruolo che vanno a fare i ministri o i capi di gabinetto nei ministeri. Su questo punto, in ogni caso, le tensioni restano alte. “Sulle porte girevoli sono necessari paletti severi. No alla contemporaneità tra carica elettiva e funzione giudiziaria e no a candidature nello stesso distretto in cui si è svolta la funzione di giudice. Regole stringenti alla cessazione delle cariche nel rispetto dell’articolo 51 della Costituzione”, insistono i dem, mentre da FI Tajani chiede la “separazione delle funzioni tra magistratura giudicante e inquirente”, e stop alle porte girevoli: “Se un magistrato decide di fare politica e viene eletto non può ritornare a fare il magistrato al termine del suo mandato”, è la linea.

La riforma prevede poi la possibilità di partecipare al concorso in magistratura direttamente dopo la laurea e l’accesso ai consigli giudiziari per avvocati e professori universitari. Il confronto, in ogni caso, si annuncia infuocato.

LaPresse

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