Da terra dei fuochi a…terra dei cuochi

©Stefano Meluni / LaPresse - Nella foto: Discarica inertizzazione rifiuti

A dispetto del fatto che gli antichi romani considerassero la Campania Felix un luogo incantevole per la bellezza del paesaggio e la fertilità dei terreni, da mezzo secolo a questa parte, la nostra terra è diventata sinonimo di “immondezzaio a cielo aperto” per l’incuria con la quale gli amministratori hanno colpevolmente rinunciato a realizzare sistemi di trattamento dei rifiuti che ne selezionassero e ne smaltissero le eccedenze, ma anche per le notizie di cronaca scaturite da esempi di inciviltà come la cosiddetta “Terra dei Fuochi”, un fenomeno sostanzialmente identificabile con l’esecrabile abitudine di accumulare immondizia nei luoghi più disparati e poi eliminarla dandole fuoco. Da Terra Felix, insomma, a Terra dei Fuochi ovvero simbolo dell’inquinamento che ha portato – con tutte le esagerazioni di stampa e del diuturno esercizio dei catastrofisti di mestiere travestiti da uomini di scienza – a danni incalcolabili all’agricoltura, al turismo e, quantunque in termini di carattere non proprio economico, anche al decoro, alla dignità ed all’immagine degli abitanti della Campania.

Da Senatore della Repubblica ebbi a interrogare, nell’ottobre del 2014, l’allora ministro dell’Ambiente, per appurare quali fosse il reale “stato dell’arte” rispetto al susseguirsi di catastrofistiche campagne mediatiche e degli immancabili cortei di protesta capeggiati da laici o da prelati (a seconda della circostanza) che facevano della nostra regione il bubbone tossico di tutto il Meridione (determinando l’ostracismo dei nostri prodotti agricoli da tutti i mercati). Ebbi una risposta rassicurante, quella che non mi sarei aspettata sulla base del clima di allarme che si era generato in quel periodo, ma fui anche sottoposto ad una specie di processo da taluni avversari politici, oggi assurti al governo del Paese e additato addirittura come portatore di chissà quali inconfessati progetti a sostegno degli inquinatori, di coloro che volevano costruire impianti di termovalorizzazione o comunque di smaltimento dei rifiuti. In parole brevi, quasi colluso con gli “untori” stessi e la malavita organizzata che da più parti, si diceva, si celasse dietro il fenomeno del trasporto dei rifiuti nelle discariche a cielo aperto. Come spesso mi è accaduto ultimamente, i fatti mi hanno dato ragione. D’altronde a Napoli si dice che “la ragione se la prendono i fessi” ed anche per la cosiddetta Terra dei Fuochi il fenomeno si è rivelato certamente grave e irrisolto – per la mancanza di impianti che i politici continuano a non voler costruire per non essere insultati dai cortei che, in processione, protestano sia contro l’inquinamento, sia contro quegli stessi impianti che tale inquinamento potrebbero eliminare – ma non catastrofico ed ineludibile così come per anni si è voluto alimentare con la vulgata popolare.

Si è visto innanzitutto che gli impianti di termovalorizzazione inquinano molto meno rispetto ad un grosso cumulo di immondizia dato alle fiamme e che le sostanze tossiche liberate da quei cumuli, sono uguali o addirittura superiori rispetto a quelle liberate dal termovalorizzatore di Acerra in un anno di attività! Abbiamo visto che non esistono fantomatici autotreni carichi di scorie nucleari, radioattive o di componenti tossici nocivi, direttamente interrati da qualche fantasioso camorrista che ha tratto notorietà dalle panzane raccontate da taluni giornalisti, rivelatesi poi puntualmente delle fake news non essendo mai stato trovato, nei luoghi indicati, neanche un vecchio bidone arrugginito pieno di creolina, sostanza quest’ultima, pure rientrata nel novero di quelle tossiche. E tuttavia l’attuale governatore Vincenzo De Luca continua a trastullarsi anch’egli denegando la necessità di dare vita ad un serio progetto di ciclo integrato dei rifiuti che non sia di natura chiacchierologica, che non accumuli ecoballe fatte, perlopiù, di materiale “tal quale” essiccato e che poi, negli anni a venire, debbono essere onerosamente trasferite in altre nazioni che le utilizzano come combustibile per le loro centrali, ricavandone energia a basso costo.

La stessa adozione del registro dei tumori ha fatto giustizia di molte fandonie rivelando che solo in alcune zone della nostra regione l’incidenza delle patologie tumorali si discosta sensibilmente dalla media nazionale. Il “perché” e il “per come” è certamente dovuto all’inquinamento che nasce, però, dalla contaminazione delle falde acquifere, dall’avvelenamento dei terreni, dalla combustione dell’immondizia sversata in luoghi ameni, nonché, in mera sostanza, dai metalli pesanti che, penetrando nei suoli e nelle acque e quindi nei prodotti agricoli, entrano poi anche nel nostro organismo finendo con l’intossicarci e dunque producendo l’incremento di quelle malattie.

Scoprendo questi nuovi aspetti, la Biologia ha anche rivelato un aspetto miracoloso della natura stessa: quello di saper porre rimedio agli insulti che l’essere umano le provoca quotidianamente. In pratica, la natura ha imparato a proteggersi da queste sostanze nocive. E lo conferma il fatto che in talune enclavi ritenute ad alto rischio, quelle, per capirci, più inquinate, sia stata scoperta una popolazione residente con un numero di soggetti ultracentenari addirittura più alto rispetto ad altre zone d’Italia! Il frutto di tale longevità è risultato legato al particolare tipo di alimentazione assunta in queste enclavi. Un’alimentazione a base di grani antichi, ricchi di selenio, che legano i metalli pesanti purificando il corpo, ma anche di un particolare tipo di cavolo detto “torzella”, che contiene, per qualità e quantità, il più potente anticancerogeno esistente in natura, senza dimenticare i “ceppi” di pomodoro San Marzano antico, con il suo ricco e prezioso carico di licopene. Un’alimentazione fondata su un’agricoltura biologica fatta di germogli, curcuma, ortaggi privi di antiparassitari ed anticriptogamici, ma anche di buon vino, olio di qualità, paste e farine di canapa, lievito naturale, aglio e cipolla nostrani e, perché no, di un clima mite e delicato. Un mix efficientissimo, per dirla tutta, di prodotti forgiati sui suoli della tanto oltraggiata Campania, coltivati secondo sistemi antichi. Gli unici in grado di contrastare l’azione delle sostanze nocive. E’ da qui, allora, che bisogna ripartire. Da questo miracolo. Dalle risposte che madre natura ci offre. Occorre incentivare tali conoscenze, attivare questa tipologia di alimenti nostrani, diffondendo la giusta cultura alimentare. L’unica, in grado, da sola, di tamponare lo stato tossico indotto dall’inquinamento. Insomma, da Terra dei Fuochi la Campania deve diventare “Terra dei Cuochi” ovvero riprendere le tradizioni di una dieta Mediterranea fatta di prodotti genuini, quelli della nostra terra, riabilitando culture e mentalità produttive che ci salveranno nell’immediato futuro.

Vincenzo D’Anna

Presidente Ordine Nazionale dei Biologi

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