La difesa dell’ex presidente della fondazione che finanziava la Leopolda pensa al Riesame

Ricorso al tribunale del Riesame: è la strada che la difesa dell'avvocato 65enne Alberto Bianchi sta valutando di percorrere contro il sequestro dei documenti acquisiti dagli investigatori nel corso della perquisizione avvenuta il 16 settembre scorso nello studio dell'ex presidente della Fondazione Open, attiva dal 2012 al 2018 per sostenere le iniziative di Renzi, tra le quali la Leopolda

Foto Duccio Ricciardelli - LaPresse

FIRENZE – La difesa dell’ex presidente della fondazione che finanziava la Leopolda pensa al Riesame. Ricorso al tribunale del Riesame: è la strada che la difesa dell’avvocato 65enne Alberto Bianchi sta valutando di percorrere contro il sequestro dei documenti acquisiti dagli investigatori nel corso della perquisizione avvenuta il 16 settembre scorso nello studio dell’ex presidente della Fondazione Open, attiva dal 2012 al 2018 per sostenere le iniziative di Renzi, tra le quali la Leopolda. Bianchi, uno degli uomini che è stato più vicino all’ex premier, è indagato con l’accusa di traffico di influenze illecite.

Le dichiarazioni

“L’avvocato Alberto Bianchi è indagato per una ipotesi di reato fumosa qual è il traffico di influenze per prestazioni professionali a mio avviso perfettamente legittime”, ha spiegato Antonio D’Avirro, difensore dell’ex presidente della Fondazione Open, annunciando che “stiamo valutando se fare o meno ricorso al Tribunale del Riesame per il sequestro dei documenti: abbiamo dieci giorni di tempo per farlo e in queste ore prenderemo la decisione”. D’Avirro ha anche detto che il suo assistito “ha messo a disposizione degli inquirenti la documentazione richiesta nella convinzione di poter chiarire al più presto questa vicenda che lo sta profondamente amareggiando”.

La Finanza esamina gli atti

In queste ore gli investigatori della guardia di finanza, coordinati dal procuratore aggiunto di Firenze Luca Turco e dal pm Giuseppina Mione, stanno esaminando il materiale acquisito nel corso della perquisizione nello studio di Bianchi. Tra la documentazione finita sotto la lente degli inquirenti ci sarebbero anche i bilanci della fondazione e la lista dei finanziatori. Secondo l’accusa, Bianchi avrebbe sfruttato le sue conoscenze per ottenere in cambio prestazioni professionali ritenute ‘illecite’.

L’ex presidente della fondazione Open, che in passato è stato anche legale di Matteo Renzi, fu nominato nel maggio 2014 nel cda di Enel e ha svolto consulenze anche per Consip. La Fondazione Open, che prese il posto della precedente Big Bang con lo scopo di supportare le attività e le iniziativa di Matteo Renzi fornendo un contributo finanziario, organizzativo e di idee, come recitava lo statuto, fu creata nel 2012, poco prima della partecipazione per la prima volta di Matteo Renzi, all’epoca sindaco di Firenze, alle primarie nazionali del Pd per la carica di segretario del partito, in cui fu sconfitto da Pierluigi Bersani.

Nel consiglio direttivo, oltre a Bianchi che ne era il presidente, sedevano Maria Elena Boschi, con la carica di segretario generale, Marco Carrai e Luca Lotti. Sul sito internet della fondazione era possibile leggere i nomi dei finanziatori che avevano dato il consenso alla pubblicazione online. Open ha raccolto circa 6,7 milioni di euro di donazioni.

Massimo riserbo

Gli inquirenti mantengono per adesso il massimo riserbo sulle indagini e su eventuali altri nomi coinvolti oltre a Bianchi. Ma da quanto è trapelato, l’inchiesta deriverebbe da un fascicolo di un’altra indagine portata avanti dalla procura fiorentina: quella su Play Therapy Africa e su altre società di Alessandro Conticini, fratello di uno dei cognati dell’ex premier Matteo Renzi, che per molti anni ha operato in Africa sul fronte delle donazioni per progetti di assistenza ai bambini.

Nell’ambito della vicenda Play Therapy Africa la procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio per i fratelli Alessandro, Luca e Andrea Conticini (quest’ultimo è il cognato di Matteo Renzi avendo sposato la sorella dell’ex premier, Matilde). Le accuse sono di appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio. Secondo gli inquirenti della procura fiorentina, 6,6 milioni di 10 versati da enti benefici alle società di Alessandro Conticini per le attività in Africa, anziché nella cooperazione sarebbero finiti dentro conti correnti suoi e di suoi familiari e usati, sempre secondo la tesi dei pm, per operazioni immobiliari in Portogallo e acquisto di partecipazioni societarie.

(Francesco Bongiovanni – LaPresse)

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