Le 5 Stelle del Cavaliere

L’Italia è un paese ben strano quando se ne osserva il panorama politico, soprattutto per quel che riguarda le divergenti valutazioni, che, in epoche diverse, si affibbiano ad una stessa personalità. Gli esempi da farsi, in tal senso, sono molteplici ma non c’è dubbio che quello più eclatante riguardi Silvio Berlusconi. Non solo e non tanto perché il fondatore di Forza Italia calca il palcoscenico della politica ormai da quasi un trentennio, ma anche perché, sia pur in calo di consensi (almeno ultimamente), riesce sempre a rimanerne ben fisso al centro della cronaca, calamitandone le attenzioni mediatiche. Parliamoci chiaro: del Cavaliere si conosce tutto, dalla sua famosa discesa in campo, nel 1994, allorquando vinse le politiche sbaragliando la gioiosa “macchina da guerra” di Achille Occhetto, ai fatti più pruriginosi che riguardano la sua vita “privata”. Milioni di pagine gli sono state dedicate, non sempre tenerissime e riguardose. Come la regina Elisabetta, Silvio non conosce il termine abdicazione e c’è da giurarci che non avrà mai eredi politici, portandosi nella tomba una storia che non ha avuto precedenti per la brillantezza dei risultati elettorali raggiunti e per il grande seguito personale riscosso. Come tutti coloro che, grazie a talenti personali e capacità di realizzazione uniche, hanno toccato vertici assoluti – in campo economico, imprenditoriale, sportivo, politico e governativo – l’ex premier si tiene in grande considerazione. Un ego ipertrofico, infatti, ne accompagna una volontà di ferro. Al contempo, la genialità alimenta la smisurata voglia che ha di affermare se stesso e soprattutto di saper utilizzare gli altri usando tutti i mezzi disponibili. Credo di aver conosciuto abbastanza bene il personaggio per dire che dietro la bonomìa dell’uomo brillante e la prodigalità del magnate, si nasconda un cinico che sa come piegare ai propri scopi (personali oppure politici) la gente di cui si circonda. Berlusconi non ammette repliche, né accetta consigli se questi non sono in linea con i propri scopi: preferisce comprarsele le persone, abbagliandole col danaro o con il potere, più che accettarle come dirette interlocutrici. Tuttavia il Cavaliere è stato l’uomo politico più perseguitato dai magistrati ed il più avversato con ogni mezzo dai suoi antagonisti, anche in combinato disposto coi togati. Eliminato per via giudiziaria con un calcolo premeditato fatto a mezzo di una legge retroattiva, la Severino, sembrava ormai non dover destare più l’attenzione degli odiatori di mestiere e dei manovratori della macchina del fango a trazione mediatico giudiziaria. Tuttavia Silvio non si è arreso. Né al calo dei consensi, né ai malanni dell’età, mai scalfito neanche dai (previsti) tradimenti dei cortigiani reggi-coda sia pure allevati nel cerchio magico dei suoi fedelissimi. Quando – è storia recente – si è “infilato” nel governo Draghi, accontentandosi di qualche ministero di seconda fascia, molti hanno pensato alla solita manfrina, ad uno spregiudicato capovolgimento di fronte, per tutelare la miriade di interessi delle sue aziende. Così non è stato, o per lo meno non è stato “solo” a tutela dei suoi interessi imprenditoriali. La mossa, infatti, era propedeutica ed a sostegno della clamorosa auto-candidatura alla carica di Presidente della Repubblica! Qualche voce di dentro, come tale bene informata, suggerisce che Berlusconi aspiri solo in seconda battuta ad ottenere il laticlavio di Senatore a vita, riprendendosi così la rivincita per l’ignominiosa cacciata da palazzo Madama. Comunque sia i conti potrebbero anche clamorosamente tornare. La maggioranza necessaria per varcare la soglia del Quirinale, infatti, sommando i voti del centrodestra con quelli di una variegata gamma di parlamentari del misto e dei gruppi minori, una cinquantina, non è poi così lontana. La partita, semmai, si intreccia con la eventuale nomina di Draghi al posto di Mattarella, ipotesi, quest’ultima, fortemente ostacolata da quanti temono, con il ritorno anticipato alle urne (Renzi e Conte in primis), di perdere buona parte dei propri “onorevoli” uscenti. Lo stellone del Cavaliere, inteso come la fortuna che lo ha sempre accompagnato, brilla ancor di più innanzi a queste fibrillazioni. Ecco allora che Giuseppe Conte e Luigi Di Maio da un lato e lo stesso Cavaliere dall’altro, cominciano a scambiarsi elogi e reciproci riconoscimenti. Una vergognosa e squallida interlocuzione tra soggetti che da anni si sono demonizzati a vicenda. Una pagina opaca e gravida di incognite per quello che potrà scaturirne, sulla pelle degli elettori che votarono il leader di Forza Italia su ben altri presupposti. Insomma il Cavaliere potrebbe cingersi il capo con una corona fatta anche di cinque stelle. Unica consolazione di cotanto trasformismo sarebbe il travaso di bile al quale andrebbero incontro i Travaglio boy’s e le Toghe rosse.

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