Michela Rostan: ecco la sinistra che vorrei

Michela Rostan
Michela Rostan

La fine dell’esperienza di Liberi e Uguali non sorprende. È stato un generoso tentativo di unire anime diverse della sinistra, in occasione del voto del 4 marzo scorso, con l’idea che da quel seme potesse fiorire una storia nuova. Non più di differenza ma di cammino comune. Così non è stato. Personalmente lo avevo visto fin dal principio. Già la fase di formazione delle liste alle politiche aveva segnalato una fatica vera dello stare insieme, del guardare nella stessa direzione. Non c’era il respiro di un progetto comune, il senso di una medesima squadra, il sentimento di una battaglia che ci vedeva dalla stessa parte.
Ho sentito diffidenza, distanza, che credo non ci abbiano aiutati nella campagna elettorale. Un clima già difficile è stato reso ancora più complicato da queste tensioni territoriali che hanno disunito il progetto e, al tempo stesso, ci hanno mostrati agli elettori non sempre credibili, non sempre forti.
Oggi siamo di fronte alla necessità di riorganizzare il cantiere della sinistra riformista. Articolo Uno terrà una Assemblea nazionale aperta il prossimo sedici dicembre a Roma. Si è già avviato un confronto programmatico. Si è parlato di una forza politica “rosso-verde”, per delineare il profilo di una organizzazione socialista ed ecologista. Parteciperò, naturalmente, con interesse a questa fase, in considerazione del fatto che di sinistra, in Italia, oggi c’è più bisogno che mai. Ma lo farò in modo critico e propositivo.
Si deve fare una sinistra di popolo, una sinistra che parli ai ceti medio bassi e non ai soliti ambienti borghesi. Bisogna scendere per strada, uscire dai salotti, lasciare le stanze ovattate con le poltrone comode, a cui molti sono affezionati. Dobbiamo essere radicali nei contenuti ma contaminarci nei problemi: il tono radical-chic che a volte si vede emergere nelle posizioni politiche e anche nei comportamenti, ci allontana dalle persone.
Ci sono anche gravi questioni organizzative. A Napoli e in Campania, in particolare, si sono avvertite. Ci sono gruppetti che corrono da soli, ignorano altri pezzi organizzati del partito. Gli stessi parlamentari spesso vengono esclusi da iniziative, momenti di confronto. La sinistra si fa tutti insieme, nel dialogo, nella condivisione, nell’apertura culturale e unendo le forze. Qui, c’è da fare anche una scelta di campo.
Salgono i consensi per il fronte populista-sovranista. Ormai Lega e Movimento 5Stelle, insieme, nei sondaggi, superano il 60 per cento dei voti. Cosa opponiamo a un disegno politico con quel vocabolario, con quell’enciclopedia delle idee, e con quella capacità attrattiva? Penso che dobbiamo opporre un fronte progressista unitario, ampio, aperto. Non possiamo costruire ridotte nostalgiche o gruppetti residuali. C’è bisogno di aprire le porte e ricostruire un dialogo. Anche con quel Partito democratico, che abbiamo tanto criticato, da cui ci siamo allontanati non condividendo idee, programmi e gestione, ma che rappresenta, con il suo 18%, una base di popolo della sinistra a cui non si può non guardare se si vuole costruire l’alternativa.
Più idee, quindi, più umiltà, più apertura, più decisione. Si riparte così.

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