Nani e giganti

Foto Marco Alpozzi/LaPresse

E’ probabile che nelle cancellerie e nelle ambasciate di mezza Europa si starà rispolverando un vecchio detto sull’affidabilità dei patti e delle alleanze sancite dai nostri governanti: “Gli italiani non terminano mai una guerra con gli stessi alleati con la quale l’hanno iniziata” recita il celebre aforisma. Ebbene, a ben guardare, c’è del vero in tale affermazione. In entrambi i conflitti mondiali, infatti, gli eventi confermarono quello che non è solo un ironico modo di dire.

Per capirci, prima dell’inizio della Grande Guerra, il Regno d’Italia era schierato al fianco di Germania ed Austria in virtù del patto sancito con la Triplice Alleanza, ma poi scelse di aprire le ostilità appoggiando la causa dell’Intesa (Francesi, Inglesi e poi Statunitensi). Nel secondo conflitto mondiale entrammo in guerra con l’Asse (Germania e poi Giappone) e ne uscimmo, dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) e i fatti dell’8 settembre, alleati degli Anglo Americani. 
La cronaca di queste ore, con il riferimento alla traballante condizione del governo a guida Lega-M5S per la vicenda Tav, ricorda, appunto, quei repentini ed inaspettati dietrofront militari.

Molti sono i commenti in favore della continuazione dell’opera che dovrebbe collegare Lione a Torino, già costata all’Italia ben 3 miliardi di euro, secondo gli accordi stipulati con la Francia e la Comunità europea. Seppur minoritarie, numerose sono anche le dichiarazioni di coloro che, all’opposto, ne invocano il blocco. Da un lato il M5S con i ministri Toninelli e Di Maio, a battersi contro l’infrastruttura ritenuta costosissima per i pochi vantaggi che darebbe in termini di trasporto merci e passeggeri. Dall’altro, la Lega di Salvini che, sotto la pressione di Confindustria e degli imprenditori del Nord, si batte con l’obiettivo di rivedere sì i costi ma di finire la Tav.

I cugini transalpini, che finora hanno investito molto meno sul loro versante, col tratto più pianeggiante, premono perché la ferrovia si faccia ed i patti siglati siano rispettati. Bruxelles, dal canto suo, incombe minacciosa ammonendo Roma che, in caso di mancato prosieguo della linea ferroviaria, ne deriverebbe la perdita dei finanziamenti con l’aggiunta di una penale di mezzo miliardo di euro. Come tutti i re travicelli, il premier Giuseppe Conte si barcamena tra le due opposte tesi anche se, sotto sotto, sembra più propendere per l’ipotesi di stop grillina che per quella “oltranzista” del Carroccio. Pochi in verità, e chi scrive è tra questi, coloro i quali, in questa fase, valutano anche il vero danno che ne deriverebbe per l’immagine del Paese qualora l’Italia venisse meno al patto imprenditoriale già sottoscritto con i partner transalpini. Insomma, così facendo, si alimenterebbe la vecchia teoria della inaffidabilità italiana, dei governi “ballerini” privi di una classe politica degna di tal nome. Un danno per l’intero popolo che non merita di essere così malamente rappresentato.

Lo sviluppo di una Nazione, è risaputo, passa anche attraverso la realizzazione di grandi opere come la Tav ed il loro utilizzo in prospettiva futura, oltre che per il volano economico nazionale che l’opera stessa riesce a produrre. Così di inestimabile valore per l’unione dei popoli è ogni infrastruttura che velocizzi e migliori le comunicazioni e gli scambi commerciali tra paesi federati.

Benjamin Constant, filosofo economista del secolo XVIII, soleva dire che dalle frontiere dove passano le merci non passeranno mai i cannoni. Ebbene, se l’Europa da oltre da oltre settant’anni non vive guerre lo deve anche al processo di integrazione che nasce appunto come comunità economica. A chi oggi è scettico dovremmo chiedere non quanto costi l’opera ma perché non siamo stati in grado di imporre, in passato, alla Ue la realizzazione prioritaria dell’asse Berlino-Palermo al posto dell’attuale contestata tratta valsusina. Perché, insomma, abbiamo rinunciato a fare spese europee per realizzare l’altra “alta velocità” nel Mezzogiorno d’Italia!

Purtroppo in questi frangenti ci si accorge che al di qua ed al di là delle Alpi non ci sono in giro figure politiche come Alcide De Gasperi e Charles De Gaulle, ovvero giganti e statisti di levatura internazionale, che ben avrebbero saputo guardare alla grande dimensione di una prospettiva storica senza perdersi nei miseri meandri della cronaca. Al loro cospetto Macron impallidisce e Conte addirittura scompare. Questo credo sia un elemento decisivo per le decisioni da prendere. Sopratutto per gli Italiani, che debbono accontentarsi di essere governati da nani le cui ombre sono giganti solamente quando il sole è basso all’orizzonte.

ex parlamentare

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