Terrore a Pieve Modolona (Reggio Emilia), condannato a 19 anni di carcere barricato nell’ufficio postale con 5 dipendenti in ostaggio

Sarebbe Francesco Amato l'uomo chiuso nell'ufficio postale di Pieve Modolena. E' stato condannato a 19 anni e un mese al termine del primo grado di giudizio nel processo 'Aemilia'.

Ufficio postale a Piave
foto Mario Sabatini/LaPressecronaca

REGGIO EMILIA – Mattinata di terrore nel quartiere emiliano Pieve Modolona. Uno dei condannati del processo ‘Aemilia’, conclusosi in primo grado solo qualche giorno fa, si è infatti barricato all’interno dell’ufficio postale. Armato, avrebbe preso in ostaggio almeno cinque dipendenti. Tra di loro ci sarebbe anche la direttrice. Le forze dell’ordine hanno circondato la zona.

Condannato a 19 anni di carcere, Amato barricato nell’ufficio postale di Pieve Modolena: 5 dipendenti in ostaggio con un coltello da cucina

Sarebbe Francesco Amato l’uomo chiuso nell’ufficio postale di Pieve Modolena. E’ stato condannato a 19 anni e un mese al termine del primo grado di giudizio nel processo ‘Aemilia’. I giudici lo hanno riconosciuto colpevole di associazione di stampo mafioso. Da quel momento, Amato si è reso irreperibile. Quando i carabinieri di Piacenza si sono presentati al suo domicilio per eseguire l’ordinanza firmata dalla corte su richiesta della Dda, per condurlo in carcere, non lo hanno trovato. Questa mattina, poco dopo le 8.30, Amato avrebbe fatto irruzione l’ufficio postale di via Emilia. C’erano 7 clienti, sono stati fatti uscire. Dentro, però, ci sono ancora i dipendenti. Cinque, secondo le informazioni in possesso della polizia, che ha iniziato le trattative con l’uomo dall’esterno.

Il processo ‘Aemilia’ contro la ‘ndrangheta e il coinvolgimento di Vincenzo Iaquinta (e di suo padre)

Il processo ‘Aemilia’ è quello che ha fatto parecchio rumore anche per via del coinvolgimento di Vincenzo Iaquinta e di suo padre Giuseppe. Quest’ultimo è stato condannato a 19 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. L’ex calciatore della Juventus e della Nazionale italiana, campione del mondo nel 2006 con gli azzurri di Marcello Lippi, ha invece rimediato due anni per detenzione illegale di armi. “Noi non sappiamo nemmeno cosa sia la parola ‘ndrangheta, non c’entriamo niente – aveva urlato Vincenzo Iaquinta subito dopo la lettura della sentenza, all’esterno del tribunale – Mi hanno condannato solo perché sono calabrese? Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese. Ho quattro figli e mi hanno rovinato la vita. Non abbiamo fatto niente ma non ci arrenderemo”.

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