Oro, Intesa Sp: export settore orafo cresce del 30%, sopra il 2019

Vento in poppa per l'oreficeria made in Italy sui mercati esteri, con l'export che supera i livelli pre Covid.

Foto LaPresse / Nicolò Campo) Sede Intesa SanPaolo

MILANO – Vento in poppa per l’oreficeria made in Italy sui mercati esteri, con l’export che supera i livelli pre Covid. A mettere sotto la lente il comparto è un focus della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo.

Dopo il completo recupero dei livelli pre-crisi realizzato nel 2021, la domanda mondiale di gioielli in oro segna un calo nel 1° trimestre 2022 (-6,9%). Il settore orafo italiano, rafforza comunque il suo trend di crescita nei mercati internazionali con variazioni rispetto al 2021 superiori al 30% sia in valori, sia in quantità, che raggiungono livelli superiori al 9,1% rispetto al 2019. Dal punto di vista delle specializzazioni distrettuali del belpaese, il 1° trimestre dell’anno ha mostrato un aumento delle esportazioni diffusa a tutti e tre i distretti monitorati con tassi superiori al 30% per Arezzo e Vicenza e più contenuti per il distretto di Valenza che si attesta al +8,5%.

Più in generale questi dati vanno letti alla luce del fatto che nel settore delle materie prime si è registrato un cambio di mentalità. E questo si riflette sul comparto.

Nel 2022 l’invasione russa dell’Ucraina ha rappresentato un’ulteriore spinta rialzista ai prezzi delle materie prime, alimentando i timori di una prolungata carenza di energia e di condizioni di mercato improvvisamente più tese per commodity energetiche, metalli, merci agricole,fertilizzanti e prodotti chimici, beni di cui la Russia era un importante produttore. A fronte di questo lungo periodo di prezzi elevati e in continuo aumento, le pressioni inflazionistiche sono diventate la principale preoccupazione macroeconomica e le banche centrali si sono affrettate ad attuare politiche monetarie più restrittive.

Rischi geopolitici, urgenza di ridurre la dipendenza dalle esportazioni russe e utilizzo come arma politica delle riserve denominate in dollari sono i tre principali fattori che stanno favorendo questo cambio strutturale. In effetti, questi beni sono sempre più spesso considerati asset strategici, utili per ridurre la dipendenza dagli esportatori stranieri o esercitare una maggiore leva politica nei rapporti internazionali. Per i paesi non occidentali, la creazione o l’ampliamento di riserve di materie prime potrebbe inoltre contribuire a ridurre l’esposizione al dollaro americano, contenendo così l’impatto negativo di potenziali future sanzioni statunitensi nei loro confronti.

Allo stesso tempo, condizioni monetarie restrittive e forte dollaro americano costituiscono due grandi ostacoli per il complesso dei metalli preziosi. Tuttavia, nei prossimi mesi la quotazione dell’oro potrebbe recuperare parte del terreno perso, poiché ci attendiamo un moderato aumento degli investimenti in Etf aventi oro fisico come sottostante, favoriti da alti prezzi dell’energia e rischi geopolitici che alimentano timori inflazionistici, una ripresa della domanda nel settore della gioielleria in Cina e India e maggiori acquisti di oro effettuati dalle banche centrali nel tentativo di diversificare le riserve ufficiali.

LaPresse

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