Pd, tutti contro Matteo: la fine del ‘renzismo’

Congresso prima delle Europee, Zingaretti candidato anti Renzi

Zingaretti
Foto Fabrizio Corradetti/LaPresse
ROMA –Imbarazzante“, è il commento del mite Paolo Gentiloni all’intervento di Matteo Renzi alla direzione del PD tenutasi a Roma. Uno schiaffo sonoro, un vaffa perentorio se tradotto nel linguaggio politico che va oggi per la maggiore. Ma veniamo ai fatti. Renzi accenna a un’autocritica dopo l’ennesima, sonora sconfitta elettorale. Sembra un buon inizio anche se tardivo (altri leader si sarebbero ritirati in dignitoso silenzio), ma si rivela subito una falsa partenza. Matteo, infatti, scarica su altri le maggiori responsabilità delle ripetute sconfitte, sui fuoriusciti, sulle minoranze interne. Si scatena la bagarre in platea fra le diverse sensibilità presenti. Ed ecco le novità: l’assemblea rielegge Maurizio Martina con l’impegno di tenere congresso e primarie prima delle elezioni europee, una sostanziale sconfitta della linea renziana. Intanto, la sinistra tutta guarda interessata a Nicola Zingaretti.
Zingaretti: l’anti Renzi al congresso Pd
L’accelerazione sembra prefigurare una volontà di liberarsi dello scomodo e perdente leader per iniziare una stagione nuova. Nuova nei contenuti, nei programmi, nella leadership, nelle alleanze. Aleggia l’ombra della candidatura alla segreteria di Zingaretti, il vincente governatore del Lazio che ha proposto alle ultime elezioni regionali un’alleanza con Liberi e Uguali ed una piattaforma programmatica più marcatamente di sinistra. Zingaretti lancia i comitati nazionali per l’alternativa. Il sentimento della base sembra essere con lui. Renzi guarda a Macron, le minoranze che presto potrebbero diventare maggioranze, ad una nuova sinistra capace di dialogare con alcuni settori del Movimento 5 Stelle, in grado di recuperare anche nella base leghista di origine operai.
Calenda contro Zingaretti, nuovo dualismo?
Su queste basi, in questo nuovo tornante della storia sembra che qualcosa si muova anche a sinistra. Anche l’eventuale nuovo dualismo tra il governatore del Lazio e l’ex ministro dell’Industria, cioè tra due visioni politiche opposte ma conciliabili in una dialettica interna normale, sembrano suggerire che il renzismo e i suoi interpreti sono acqua passata. La domanda resta una: Matteo Renzi e il manipolo dei suoi fedelissimi rimarrà dentro il Pd per ‘sfasciare’ o andranno a formare quel partito d’ispirazione macroniana (un po’ fuori tempo) così a lungo rincorso? Sarà il tempo a dircelo.

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