Prato, muore in un incidente 21 anni dopo aver sterminato la famiglia

Ieri il 46enne, secondo quanto accertato dall'esame tossicologico, non era ubriaco e non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti

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PRATO – Non si saprà mai se Simone Cantaridi, 46 anni, dieci dei quali passati dietro le sbarre di un carcere, ieri pomeriggio a Prato volesse togliersi la vita o semplicemente abbia perso il controllo della sua auto su un lungo tratto di strada rettilineo, con pochissimi veicoli in transito per i divieti imposti dal governo per contenere la diffusione del coronavirus. Fatto sta che la sua Fiat Panda, lanciata a velocità sostenuta, ha terminato la sua corsa contro un albero, in via Firenze, di fronte allo stadio Lungobisenzio. Cantaridi è morto praticamente sul colpo. Oggi sarebbe stato l’anniversario della strage di cui il 46enne fu protagonista: il 14 aprile del 1999 Cantaridi, originario di Massa Marittima (Grosseto), accoltellò la sorella Claudia di 27 anni, la moglie Sabrina Martinelli di 24 anni e la figlioletta Vanessa, che di anni ne aveva appena 4. Il delitto si consumò in una palazzina di via Landi, a Piombino (Livorno), dove la famiglia era andata ad abitare da poco. Subito dopo aver portato a termine la strage, Cantaridi fece esplodere l’appartamento.

Lo sterminio della famiglia, poi la confessione

Le cronache del tempo raccontano che gli inquirenti pensarono a una disgrazia causata da una fuga di gas. Cantaridi era l’unico superstite: venne trovato sotto le macerie. La verità però venne fuori quando i carabinieri scoprirono fra i detriti della casa distrutta un coltello sporco di sangue. In ospedale, dove era ricoverato, Cantaridi, incalzato dalle domande, confessò. Da superstite della tragedia era diventato il reo confesso, anche se non spiegò mai il suo gesto. Durante il processo gli venne riconosciuto il parziale vizio di mente e venne condannato in abbreviato a venti anni che, poi, furono ridotti a 16 in appello. Ne scontò dieci nel carcere della Dogaia a Prato. Durante la detenzione studiò e conseguì la laurea in teologia. Nel 2009, assistito dall’avvocato Elena Augustin, ottenne la semilibertà grazie alla buona condotta e all’indulto. Da allora era rimasto a vivere a Prato. Aveva trovato lavoro in un supermercato e, da quanto si apprende, si era risposato. Una nuova vita, anche se quel passato doloroso non poteva averlo rimosso del tutto.

La dinamica dell’incidente

Ieri il 46enne, secondo quanto accertato dall’esame tossicologico, non era ubriaco e non aveva fatto uso di sostanze stupefacenti. Non si sa dove andasse o da dove stesse tornando. L’incidente sarebbe avvenuto a causa dell’alta velocità, in un tratto rettilineo, seguito da una leggera curva. Un tratto dove comunque sono rigidi i limiti di velocità. Secondo quanto ricostruito dagli agenti della polizia municipale, Cantaridi avrebbe spinto a fondo il piede sull’acceleratore perdendo il controllo della macchina. L’impatto con l’albero è stato devastante. Sul posto i soccorsi allertati da alcuni testimoni. Sono arrivate un’ambulanza con il medico, una pattuglia della polizia municipale e i vigili del fuoco, che hanno estratto l’uomo dalle lamiere. Ma Cantaridi è morto malgrado i tentativi di rianimarlo.

(LaPresse/di Francesco Bongiovanni)

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