Qualità della vita, come Napoli è schiava di se stessa

Quando ho letto dell’encomiabile posto 106 su 107 per qualità della vita, l’unica domanda sensata che sono riuscito a farmi è: “Uà, ma a Crotone allò come stanno?”. Perché, signori, è vero dal 1977 – anno degli spettacolari sketch de La Smorfia in Luna Park sul canale nazionale – che in Eurovisione rassicuriamo tutti che stiamo benissimo ma tornati tra noi, beh, “nuje a Napoli stamm’ ‘nguajate”. Il monologo dal titolo “Napoli” è di Massimo Troisi, a cui ancora viene chiesto di fare da bandiera di beltà partenopea nonostante la dipartita sia ormai datata 27 anni fa.
Il report Italia Oggi – Università Cattolica, in collaborazione con la Cattolica Assicurazioni, del resto pone parametri oggettivi a cui far riferimento in cinque macro-aree (affari e lavoro, ambiente, istruzione e formazione, reddito e ricchezza, tempo libero) a cui si potrebbe rispondere in maniera intelligente contestandone lettura e misurazioni scelte: “non mi è chiaro perché avete misurato la qualità del tempo libero parametrando bar e discoteche”, per esempio. Invece no, l’intelligencia napoletana ha deciso ancora una volta per la via breve, contrapponendo poesia, vesuvii e panorami alla statistica. Alimentando dibattiti social ricorrenti, che tornano con certezza ad ogni misurazione di questo tipo (in cui siamo puntalmente fanalini di coda o primatisti in negativo, e una domanda dovremmo pur farcela), che vedono stormi di meridionalisti e neoborbonici (almeno a ‘sto giro abbiamo evitato le alzate di scudi filoamministrative) aggredire alla giugulare la bacheca di chiunque in qualche modo ritenga in effetti complesso vivere in questa città nonostante il Golfo, la pizza e Diego Maradona di cui ricorre in queste ore la celebrazione come ultimo feticcio a cui aggrapparsi (perdonace Diego por nuestra vida loca). Viene tacciato addirittura di feltrismo chi esprime ciò che in tanti pensano fuori dal cono d’ombra social. Lo pensano quando per prenotare una visita in ospedale pagano ticket altissimi per sperare in una prenotazione tra sei mesi, o quando sono dal gommista per l’ennesima volta perché scansare i fossi con l’auto è impossibile. Lo pensano quando cercano una casa dove metter su famiglia e non la trovano a causa di prezzi esorbitanti, salvo periferizzarsi da soli. E lo pensano in altre centinaia di occasioni, dagli alberi potati a Posillipo alle ore passate in pensilina aspettando pullman, dal lavoro assente o precarizzato fino alla onnipresente presenza camorristica.
Potremmo entrare nel merito della lettura proposta dal report, invece no: esponiamo i nostri vessilli. Ed è questo che maggiormente mi incuriosisce. Qualcuno ha scavato un reportage di Le Figarò, contestualmente all’uscita del report (sebbene uscito ben prima, ben prima persino dell’elezione di Gaetano Manfredi), per dire che i francesi ci considerano terzo mondo. Combo terrificante. Ed ecco che quindi rincorriamo quelli che possono difenderci, facendo fondo o a frasi trite e ritrite (come quelle di Lucio Dalla e del suo amore smisurato per Napoli, anche se dubito abbia mai usato i nostri servizi sanitari o il trasporto pubblico locale) o tirando in ballo alcuni “campioni di napoletanità”.
Alcuni esempi: Dries Ciruzzo Mertens, la cui simpatia è così travolgente da rendere obiettivamente impossibile contraddirlo. L’attaccante del Napoli, stipendio di 4,5 milioni di euro a stagione, continua a esporre l’amore per la città anche sui social. Riprendiamo fedelmente le sue parole all’ultimo rinnovo: “Mi dispiace per le persone che non amano Napoli, perché non l’hanno vista come l’ho vista io”. E sarò sincero, nemmeno io ho visto Napoli come l’ha vista Mertens, da Posillipo o dalla barca a mare con 4 milioni di euro e passa in tasca all’anno (il mio ISEE è notevolmente inferiore). Probabilmente, con la stessa cifra vivrei bene anche io, ma vi dirò: anche a Crotone. A Bogotà e a Medellin. E probabilmente anche nell’ultimo Paese delle lande artiche.
Ma andiamo oltre: Erri de Luca. Erri de Luca può dire quello che vuole con quel suo modo di usare le parole. Il freddo addosso. Sarebbe capace di rendere poetica finanche la lista della spesa che mi attende appesa al frigo da giorni, in attesa che trovi il tempo di andare a farla. Ecco, Erri de Luca nel 2010 (già c’erano i sondaggi sulla qualità della vita e già giravano sui social le parole di difesa strenua di de Luca da tutti gli asettici indicatori che non tengono conto del mare e del sole) mentre non si riconosceva in tutto ciò che il Sole 24 Ore esprimeva rifletteva nella sua casa nel bel mezzo delle campagne laziali perché lui in città non saprebbe più starci. Ma, su tutti, ci sono Servillo e Sorrentino, che erano in città per presentare l’ultimo lavoro cinematografico: “E’ stata la mano di Dio”. Un film che già nel titolo richiama sacre figure che questa città sventola ad ogni occasione. Quindi, alle domande dei reporter su sondaggi e Figarò che avevano il sapore di “Acquaiò, l’acqua è fresca?”, i due incredibilmente sul pezzo hanno difeso a spada tratta la città (in cui è ambientato il film). “Mi sembra difficile aspettare dei cambiamenti per Napoli, mi pare che la città se la cavi egregiamente da molto tempo”, dice Sorrentino. Che vive a Roma.
Mentre sbraitiamo alla ricerca di voci autorevoli che possano difenderci da attacchi gratuiti, pescandoli in quelle fasce sociali che, diciamocelo, possono avere anche tanti problemi ma non certo quelli delle persone comuni come noi da Pianura a San Pietro a Patierno, mi torna a mente Valeria, la donna trevigiana che andandosene da Napoli con la sua stucchevole lettera d’amore è diventata virale. Valeria N Genova, medaglia al valore arancione insignita direttamente dall’ex sindaco de Magistris, chiamata a “spiegare Napoli ai settentrionali” come ci fosse bisogno delle spiegazioni tipo allo zoo e ritenerlo naturale. Valeria che altro non è che una benestante signora trasferitasi a Napoli al seguito del marito pilota dell’Aeronautica che ha trovato casa a Posillipo e va al Teatro San Carlo e si è sentita accolta perché dopo tre giorni era nel gruppo delle mamme di Whatsapp mentre in Veneto probabilmente no. Valeria che, soprattutto, lavora ancora oggi nel marketing.
Fin tanto che rimarremo schiavi di noi stessi, questa città resterà sempre uguale a sé stessa. Mentre “nuje dicimmo”, parafrasando Pino Daniele a tal proposito, che “adda cagnà”. Anche questo dal 1977, anno in cui usciva “Furtunato” nell’album “Terra mia”.

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