Un cappio e cinque cerchi

Un grande politico liberale, Benjamin Constant, ebbe ad affermare che sui confini ove passano le merci non passano i cannoni, significando che laddove vige un mutuo interesse commerciale ed un reciproco beneficio, non insorgono conflitti. Una visione saggia e pragmatica quella del liberale francese, che poggia tutta sull’utilitarismo, nel senso non solo politico ma anche economico del termine. Un concetto, quest’ultimo, che aveva già avuto una formulazione compiuta nel pensiero del filosofo, giurista ed economista inglese Jeremy Bentham, il quale definì l’utilità come “ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere”. Insomma, per essere più chiari: stiamo parlando di una dottrina che non ha niente a che fare con il senso che normalmente viene attribuito al termine “utilitarismo”, ovvero l’egoismo e l’accaparramento dei beni materiali. Bentham intese quel “concetto” come il massimo tornaconto per il maggior numero possibile di persone, affermando, in tal modo, il vero spirito del capitalismo, vale a dire l’interesse pratico che caratterizza un sistema socio economico quando questi è in grado di allargare la base della ricchezza e quindi la possibilità per i molti di acquistare beni materiali, sostenendone così la produzione. Un ciclo virtuoso che ha dimostrato come siano le società opulente quelle che hanno sistemi di welfare più efficienti e meglio finanziati, che l’individualismo si contrappone al collettivismo, non al solidarismo verso i bisognosi e gli svantaggiati. E’ in questa chiave di lettura che va inteso il vero ed originario spirito del capitalismo, non già nella forma di progressivo relativismo etico e materiale, un contesto alienante, quest’ultimo, nel quale l’uomo soccombe con i suoi veri bisogni materiali e spirituali. Allargare la base della ricchezza prodotta significa, infatti, anche aumentare le opportunità di intraprendere, di produrre la ricchezza stessa ed il benessere che poi ne consegue per la collettività. Tutto questo in alternativa al pauperismo socialista che si affida allo stato massimo che sorregge la mera distribuzione assistenziale della ricchezza, a scapito di coloro che la ricchezza stessa hanno generato. Concetti semplici ma altrettanto ignorati dal mondo politico nel secolo corrente, che finora non ha fatto buon uso degli ammonimenti e degli esempi del passato. La globalizzazione ha spersonalizzato il capitalismo riducendone le finalità etiche in favore della speculazione monetaria e della produzione di massa delocalizzata nelle nazioni ove è possibile lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Contesti nei quali la mancanza di libertà politica, la soppressione dei diritti civili e di quelli sindacali, rende nulle tutte le tutele del lavoro e dei lavoratori (per non dire dell’aggressione all’ambiente!). Paesi come la Cina, l’India, la Russia e quelli centro africani rappresentano gli emblemi di questo stato di cose, di un capitalismo snaturato e disumanizzato che, laddove applicato da regimi politici social comunisti, riesce ad assommare sia i difetti del marxismo sia quelli del capitalismo stesso. È chiaro che il mondo ha bisogno di altro per non soccombere innanzi allo scempio ambientale e sociale, al disconoscimento del primato dell’uomo sui sistemi economici. Tuttavia mancano i valori, la conoscenza dei modelli socio economici di riferimento. Prospera l’ignoranza e si afferma una società liquida, anonima e planetaria nella quale tutti finiscono per sentirsi estranei. Molte sono le voci che si levano per il recupero di un’identità culturale indipendente dall’utilitarismo spicciolo, ma poche le risposte organizzate. Oggi a dettar legge sono gli interessi commerciali e poco conta che a Pechino sopravviva un regime tirannico, che concede ai sudditi la libertà di arricchirsi ma non quella di auto-determinarsi come uomini liberi. Una parte del debito pubblico mondiale è nelle mani delle banche di Pechino che usa questa supremazia con la stessa capacità di dissuasione dell’imponente arsenale militare. Lo stesso dicasi per l’impero di Vladimir Putin e dei suoi oligarchi, che denega libertà e diritti civili se non quelli compiacenti verso il regime. Così per l’India e la sua diffusa miseria per milioni di paria e di diseredati a cui nulla giunge del progresso e del benessere economico prodotto. La globalizzazione ha reso tutti complici innanzi a quelle tirannie che si impongono, anche ai paesi liberi e democratici, rilevando e speculando sul debito pubblico degli quegli stati. Non resta che l’opinione pubblica, quella viva ed immune dagli effetti della sedazione morale ottenuta mediante la narcosi procurata dalle borse valori e degli spread monetari. Eppure ci mobilitiamo a sprazzi, indignati per le vicende dei profughi in Afghanistan e nel resto del mondo, ma non più di tanto. A febbraio prossimo Pechino ospiterà le Olimpiadi Invernali. Sarebbe bene inscenare una protesta, issare una bandiera, quella bianca con cinque cerchi olimpici e l’aggiunta di un cappio!

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