Violenze in cella, chiesto il processo per 107 indagati

CASERTA – Un agente penitenziario riesce a conquistare la richiesta di proscioglimento e altri due chiedono il rito abbreviato nel corso dell’udienza preliminare nel procedimento per le violenze sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ieri, nel corso dell’udienza preliminare celebrata davanti al gup del tribunale di Napoli Pasquale D’Angelo, l’accusa ha confermato la richiesta di processo per 107 persone: il proscioglimento era stato proposto per 12 fra gli indagati, ai quali si è aggiunto un altro agente, che è riuscito a dimostrare la sua assenza dal carcere al momento dei fatti.
“E’ l’ulteriore conferma – dichiara il garante regionale dei diritti dei detenuti Samuele Ciambriello – della fondatezza delle nostre denunce, fatte per affermare un principio di giustizia e verità. Erano violenze a freddo, con un uso insensato della forza, e mi auguro che si faccia giustizia e verità in tempi brevi”.
Due fra gli uindagati, Vinciguerra e Di Costanzo, hanno chiesto il rito abbreviato, mentre la vice direttrice del carcere Maria Parenti ha chiesto di essere sentita nel corso della prossima udienza, prevista per il 10 maggio.
Il gup, inoltre, si è riservato la decisione sulla richiesta di costituzione di altre 4 parti civili. Al momento, a rivestire questa condizione sono il ministero della Giustizia, il garante nazionale e quello regimale dei diritti dei detenuti, le associazioni “Antigone” e “Carcere possibile”. Rischiano il processo, fra gli altri, l’ex comandante della Penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli e l’ex provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap)Antonio Fullone.
Con loro sono sotto accusa agenti della Penitenziaria e funzionari del Dap per le violenze avvenute nell’aprile del 2020.
Le accuse, contestate a vario titolo, sono di tortura, lesioni, abuso d’autorità, falso in atto pubblico, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento, In dodici rispondono di cooperazione in omicidio colposo relativo alla morte del detenuto algerino Lakimi Hamine, deceduto il 4 maggio 2020 dopo alcuni giorni in isolamento. Per quest’ultimo caso inizialmente la Procura aveva scelto di contestare il reato di “morte come conseguenza di altro reato“, ma il gip Sergio Enea classificò invece l’episodio come suicidio. La decisione del gip è stata però impugnata dalla Procura che ha provveduto a integrare il quadro accusatorio.
Le indagini avevano portato a 52 misure cautelari (8 in carcere, 18 ai domiciliari, tre obblighi di dimora) 23 sospensioni dal lavoro per un periodo dai cinque ai nove mesi.
Alcune circostanze hanno reso difficile il lavoro degli inquirenti: il 6 aprile 2020 nel carcere “Uccella” erano confluiti un centinaio di agenti da altri istituti di pena come Secondigliano, inviati dal direttore del Dap Fullone, che in molti casi indosavano caschi e mascherine, per cio l’identificaizone non è agevole. In totale i detenuti vittime dei pestaggi sono 177. Le aggresisoni sono state consumate ai danni dei detenuti del Reparto Nilo che il giorno prima avevano protestato barricandosi dopo aver saputo della positività al Covid di un detenuto. Tra le immagini più crude fecero scandalo quelle del detenuto sulla sedia a rotelle picchiato con il manganello, e dei detenuti fatti passare in un corridoio formato da agenti che li colpivano con manganellate, calci e pugni.
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