Conte non molla: “Per ora non possiamo fare di più”. Confindustria: “Riaprire o tracollo”

Il premier tira dritto per la sua strada

Giuseppe Conte (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)

ROMA – Nessun ripensamento. Le polemiche non smuovono di un millimetro il presidente del Consiglio, che conferma il piano per la fase 2, con il prudente e parziale sblocco del lockdown fino al 18 maggio. “Non siamo nelle condizioni di allentare”, ripete come un mantra Giuseppe Conte. Che in meno di 24 ore torna a girare il cuore del Nord, prima a Milano, Brescia, Bergamo e Lodi e poi a Genova, per la posa dell’ultima campata del nuovo Ponte di Genova. La sua risposta al fuoco di fila di chi, in questi 50 giorni, ha provato a impallinarlo – vedi alla voce Lega – per buttarlo giù dalla torre dei consensi. Il premier prova a fermare con le mani tutti i tentativi di scatto in avanti di alcune Regioni. Sempre più tentate di riattivare il cuore produttivo ben prima che arrivi il via libera da Roma.

“Mi dispiace per quei cittadini rimasti delusi. Sono il primo che vorrebbe allentare le misure. Ma per ora bisogna continuare così, il nostro obiettivo prioritario è la tutela della salute”, afferma ai cronisti (forse un po’ troppo vicini tra loro, e non per scelta). “Non possiamo permetterci di procedere con avventatezza e improvvisazione e per questo il lavoro di esperti e tecnici è stato prezioso”.

Il riferimento è allo studio del Comitato tecnico-scientifico che prospetta un’impennata dei contagi fino a 151mila ricoveri nelle terapie intensive, se la serratura fosse stata aperta senza condizioni. Numeri che non spaventano le Regioni. Ma se Attilio Fontana sembra tirare il freno in Lombardia ammettendo che la strada imboccata dal governo è “quella giusta”, il governatore del Veneto, Luca Zaia, è pronto anche al braccio di ferro con l’esecutivo. Tanto da annunciare pubblicamente di non avere alcuna intenzione di tornare sui suoi passi: “Le ordinanze che ho firmato non le revoco, se qualcuno dice che sono illegittime le impugni”.

Una presa di posizione che ha un paio di destinatari sicuri. Uno di questi è il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, che lascia chiaramente intendere di voler portare il tema in Cdm: “Nella seconda fase si può fare tutto, tranne disporre di maggiori aperture, perché sarebbe irresponsabile”. L’esponente del Partito democratico avvisa: “Chi apre di più rispetto a quello che lo Stato ha detto, se ne assume la responsabilità davanti ai propri cittadini e davanti agli italiani”.

Sul capo del governo pende anche la Spada di Damocle delle celebrazioni liturgiche, dopo l’invettiva della Cei. Cavalcata dalle opposizioni, ma anche da Italia viva. Conte, però, trova ‘ossigeno’ proprio da Papa Francesco, che invita alla “prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni, affinché la pandemia non torni”. Qualche preghiera extra gli sarà utile per affrontare la fase 2, soprattutto per proteggersi dagli strali del mondo produttivo. Confindustria stima una contrazione del Pil di un altro 0,75%. E avvisa: “La riapertura delle attività è necessaria per evitare un tracollo economico ulteriore, il costo economico pagato dal Paese finora è elevatissimo”.

Campanelli d’allarme che si sommano al malcontento delle comunità, più volte portato al tavolo di Palazzo Chigi dagli enti locali, Comuni e Province in testa. Tanto che l’Upi sollecita il governo a mantenere l’impegno di costituire un fondo da 3,5 miliardi per coprire le mancate entrate tributarie. L’argomento sarà al centro del dibattito finale sul decreto di aprile, il secondo che affronta l’emergenza dal punto di vista economico. E anche su questo Conte si gioca una fetta importante di futuro.

Dario Borriello (LaPresse)

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