Draghi cinesi

Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna
Foto Roberto Monaldo / LaPresse Nella foto Vincenzo D'Anna

“I 3mila km di Autostrade passano sotto il controllo pubblico. Finalmente d’ora in poi sicurezza e qualità del servizio prevarranno sulla smania di profitto”. Così si esprimeva, all’indomani del tragico crollo del ponte Morandi a Genova, l’allora ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli. Certo un ministro per caso, l’esponente del M5S, al quale non si doveva concedere molto credito. La nostra è una nazione che, negli ultimi anni, ha subìto molti oltraggi politici ed ha sopportato, con colpevole assuefazione, il fatto di essere stata amministrata da personale scadente, del tutto inadeguato culturalmente, privo di esperienza. Gente che reclamava l’ignoranza come titolo distintivo, che invocava l’onestà per il cambiamento della politica, ritenendo, quest’ultima, alla portata di tutti coloro i quali fossero animati solo da un poco di buon senso. Nell’ultimo decennio, una follia generale ha pervaso lo Stivale, soprattutto al Sud, ove le politiche assistenziali e pauperistiche sono considerate essenziali da molta gente che di mestiere fa l’elettore. E’ stato così che il M5S si è preso il potere dopo aver diffuso menzogne ed illusioni sulla cosiddetta “casta” ed in generale su tutto il sistema politico e parlamentare.

Non c’è chi non veda come sia andata a finire. Nella dichiarazione iniziale di Toninelli si colgono due aspetti essenziali di quel populismo senza costrutto: il primo, quello di rinnovare, nel tempo, la politica di affidare allo Stato il compito di fare “l’imprenditore a perdere” sperperando il denaro dei contribuenti; il secondo è il pregiudizio becero ed ignorante contro il profitto, malamente inteso come prodotto del malaffare e dello sfruttamento. Insomma si sono rinnovate, nel tempo, le politiche stataliste che nella Prima Repubblica fecero dello Stato italiano un regime socialista nel quale si riusciva a privatizzare gli utili ed a pubblicizzare le perdite. Un sistema dissennato che, con le partecipazioni statali e gli enti ad esse collegate, aveva portato nella proprietà del ministero del Tesoro migliaia di aziende decotte già sfruttate fino all’osso dall’imprenditoria piratesca dei veri profittatori. Confondere il profitto coi profittatori è un vecchio trucco dei marxisti orecchianti, quelli che parlano per sentito dire, mediante il quale, per mezzo secolo, ha potuto trionfare l’idea che lo Stato fosse padre e padrone. Un entità collettiva che poteva possedere monopoli e quote di partecipazione in migliaia di aziende perché intestatario di una superiore etica dei fini. Purtroppo laddove manca l’utile subentrano le perdite che, puntualmente, vengono riversate nel debito statale e questo accollato alla comunità dei contribuenti sotto forma di tasse e gabelle. Alla fine la presunta superiorità etica dei fini statali si trasforma in maggiori oneri per i cittadini. Roba vecchia, si osserverà.

Ed appunto perché di roba già vista e rivista. sia nella Prima che nella Seconda Repubblica, si tratta, possiamo confermare quanto sia stata inutile e parolaia la “rivoluzione grillina”. Insomma, anche col taumaturgo Draghi, sono tornate le vecchie gestioni stataliste, la logica che lo Stato debba intervenire a colmare deficit e risanare aziende malandate, oppure intervenire dopo che qualcuno abbia già spolpato l’osso. Il caso della vendita delle Autostrade allo Stato, ovvero alla Cassa depositi e prestiti, ente finanziato coi buoni e depositi postali dai cittadini risparmiatori, ne è un esempio di scuola. Crolla per scarsa manutenzione il ponte Morandi, prima il Governo minaccia la revoca della convenzione alla società Atlantis, della quale i Benetton posseggono il 30 percento, poi trattano per acquistarla. I Benetton incassano circa 3 miliardi e ringraziano, dopo aver incassato per anni i dividendi azionari ed i premi di gestione della loro società. Il costo di acquisto di oggi è intorno ai 10 miliardi. Sarà bene ricordare infatti che grazie al meccanismo del leverage buyout (una particolare formula che consente l’acquisto di una società anche senza versare tutto l’importo dovuto, ovvero a rate) nel 1999 e nel 2003 i Benetton acquisirono Autostrade praticamente a costo zero. Pagarono cioè con i guadagni successivi il costo d’acquisto allo Stato che voleva sbarazzarsene per i troppi debiti accumulati. Sara’ che l’Anas controllava poco, che la manutenzione scarseggiava, che i pedaggi aumentavano. Fatto sta, i Benetton incamerarono danaro ed oggi se ne vanno prendendo altro. Lo stesso fecero, in passato, Raul Gardini con l’affare Enimont, i Riva con le acciaierie, i Cragnotti per la Cirio Buitoni e tanti altri capitalisti assistiti dallo Stato spendaccione. Con buona pace della etica pubblica. Che quello fosse l’andazzo, nella Prima Repubblica, lo si sapeva, che fosse continuato nella Seconda, in un’epoca di rientro dal deficit pubblico, lo si sospettava. Che avessimo chiamato Mario Draghi perché continuasse è una vera sorpresa. Forse abbiamo sbagliato genere. Per la politica economica di libero mercato Forse ci volevano i “Draghi cinesi”.

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