“E’ un imprenditore del clan dei Casalesi”

Non solo le dichiarazioni di un ex affiliato: a spingere la procura distrettuale di Napoli ad indagare il 51enne per associazione mafiosa ci sono anche varie telefonate captate dai carabinieri

CASAL DI PRINCIPE – Il suo nome, quello di Carmine Schiavone, è saltato fuori nella ‘fase 2’. Neutralizzata l’ala militare, la Dda da qualche anno è passata allo step successivo: individuare imprenditori e politici collusi, identificare i colletti bianchi che avrebbero sfruttato la camorra dei Casalesi, per parentele o amicizie, come un ascensore sociale.

Le dichiarazioni di Misso

“E’ un imprenditore nostro”, ha raccontato Giuseppe Misso ai magistrati dell’Antimafia. Era il febbraio del 2016. “E’ un imprenditore che grazie al clan ottiene lavori e che a sua volta contribuisce al clan in vario modo. Carmine Schiavone, cugino di Vincenzo detto petillo è proprio uno di questi, in quanto grazie a noi ha ottenuto lavori pubblici”.

E tra gli appalti che il costruttore avrebbe incassato ci sarebbero, ha sostenuto il collaboratore di giustizia, “i lavori di realizzazione dei cordoli di contenimento, appaltati dalla Provincia, dalla strada che collega Casal di Principe con San Tammaro-Carditello. Questi lavori – ha dichiarato il pentito – li ha ottenuti proprio nel periodo in cui ero fuori e reggevo la cassa del clan negli anni 2001-2002. Conosco bene la sua abitazione – ha aggiunto Misso. – La usammo come base quando vi fu uno screzio con Bruno Lanza del gruppo di Antonio Iovine”.

Le intercettazioni

Non solo le dichiarazioni di un ex affiliato: a spingere la procura distrettuale ad indagare Carmine Schiavone, 51enne di Casal di Principe, per associazione mafiosa ci sono anche varie telefonate captate dai carabinieri. “Dalle molteplici conversazioni intercettate – ha sostenuto la procura – si ritiene emerso con evidenzia che Schiavone deve gran parte delle sue fortune alla sua connivenza con il clan dei Casalesi”.

Con alcuni esponenti della cosca Schiavone avrebbe avuto “rapporti risalenti nel tempo”. “Mi hanno sempre apprezzato perché ho fatto sempre il mio dovere – si sfoga l’imprenditore in una conversazione registrata nel 2015 – e mi dicevano… Carminiello tu sei sempre un signore, sempre. Non mi trovava mai in difetto”. E in un’altra chiacchierata monitorata dagli investigatori ha usato, ha considerato la Dda, una frase ancora più esplicita: “Io la tengo nel sangue, la malavita”.

La decisione del gip

Il quadro indiziario a carico di Carmine Schiavone, sottoposto al gip, è stato ritenuto debole.

Il giudice Ludovica Mancini di Napoli ha rilevato “l’ambiguità e non univocità delle conversazioni intercettate e conseguentemente l’impossibilità di fondare la condotta di partecipazione di Carmine Schiavone al clan”. Per tale ragione ha respinto la richiesta d’arresto che era stata avanzata dalla procura distrettuale.

Il 51enne non è stato raggiunto da un provvedimento cautelare, ma resta indagato a piede libero per associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti avrebbe provveduto al cambio di assegni di illecita provenienza, e attraverso ditte, prima a lui formalmente riconducibili, poi a seguito di interdittive antimafia con società intestate a prestanome, si è aggiudicato alcuni lavori pubblici attraverso l’intervento del clan corrispondendo al gruppo camorristico parte dei proventi. La tesi della Dda ai fini cautelari è stata respinta dall’ufficio gip di Napoli.

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