L’intervista. Peppe Lanzetta: “All’arte il compito di riprendersi la realtà in un momento in cui è scomparsa”

Il suo nuovo spettacolo “Illegittima difesa” andrà in scena questa sera all’Auditorium Bianca D’Aponte di Aversa in anteprima assoluta, con musiche dal vivo di Jennà Romano

Peppe Lanzetta

NAPOLI (di Angela Garofalo) – Torna sul palco l’istrionico Peppe Lanzetta. La maturità anagrafica sobilla l’indole giovanile, che torna e tracima con fare profetico, illuminato e amaro sullo scorrere dei nostri giorni. La salvezza è rappresentata dal rivendicare l’arte nella sua più variegata bellezza, che sia una toccante lettera scritta a De Andrè o quel colloquio immaginario con Stefano Cucchi.

L’autore presenta anche questo spettacolo come un unicum, come sono stati molti dei suoi lavori. Nulla del suo percorso artistico e letterario è ripetibile, duplicabile. Ha tanto da dire, e ripetersi sarebbe una perdita di tempo. Qualcosa di già visto mentre tanto c’è ancora da dire o scrivere.

Con lui sul palco Jennà Romano, front man dei Letti Sfatti col quale, oltre ad essere legato da lunga amicizia, dai tempi del popolare programma cult “Avanzi Popolo”, è autore delle musiche e del titolo del suo spettacolo: “In realtà abbiamo giocato sulle parole tra illegittimo legato magari anche al concetto di figlio illegittimo mentre, il termine ‘difesa’, mi dava l’idea di difendere i propri diritti, cosa ormai quasi non riconosciuta dalla legge”.

L’autore di “Ridateci i sogni” si ripropone anche come fine dicitore in musica come è successo nel suo disco del 2017 dal titolo “Non Canto, Non Vedo, Non Sento”, in cui i testi sono denunce, dubbi, che scardinano l’animo e si fondono con la forma canzone. L’album è stato candidato alla Targa Tenco 2018 nella sezione album in dialetto. Peppe Lanzetta è nato a Napoli, classe ’56. Esordisce alla fine degli anni ’70 nel cabaret all’Osteria del Gallo di Napoli con altri artisti partenopei. Ha collaborato come autore di testi con vari musicisti tra cui, Edoardo Bennato, Tullio de Piscopo, James Senese, Enzo Avitabile, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Franco Ricciardi, Massimo Severino e Franco Battiato.

Autore di ventidue libri, l’ultimo del 2017 dal titolo “L’odio. La banlieu napoletana” edito da Cento Autori, ha vinto il premio letterario ‘Domenico Rea’ nel 2006 con ‘GiugnoPicasso’ e del premio letterario ‘Frignano’ nel 2011 con ‘InferNapoli’’

Come nasce questo spettacolo?

L’arte ha un compito importante di riprendersi la realtà in un momento in cui è scomparsa. Nel senso che quello che sta accadendo in Italia è fuori da ogni grazia di Dio, ma anche quello che sta accadendo in Europa e nel mondo. L’artista può riannodare il filo del suo percorso, del suo discorso. L’urgenza è di ritornare a parlare. Discograficamente mi sono fermato al disco “Non Canto Non Vedo Non Sento” del 2017. Dopo di questo ho scritto sceneggiature per film, commedie, monologhi. Fino a quando, ad agosto dell’anno scorso, col crollo del ponte Morandi mi sono messo di nuovo alla mia macchina da scrivere. E invece di andare in vacanza ho scritto “Mala tempora currunt”. Una sorta di urlo.  Metafora di un Paese che sta crollando. Partito da lì ho estratto quello che poi è diventato questo testo a cui Jennà Romano, dopo aver dato una lettura, ha dato il titolo. Oltre le musiche. 

Uno spettacolo in cui torna a cantare.

L’incontro con la musica è fondamentale perché quando scrivi lo fai di getto, dunque è un pozzo di coscienza. Poi devi trasformare tutto questo in spettacolo. In questo lasso di tempo mi sono dedicato a questo. Sono ritornato ad una forma di satira, di teatro-canzone, di monologo interiore per raccontare in maniera tragicomica il viaggio che tutti noi stiamo facendo. Aspettavamo Godot ed è arrivato il reddito di cittadinanza.  Nello spettacolo ci saranno tre brani: una mia trascrizione napoletana di “Vecchio Frack” e una rivisitazione di “Albergo ad ore” di Herbert Pagani che ho ambientato a Miano. Abbiamo scelto due pezzi che sono emblematici di un certo esistenzialismo. Anche se poi in questo spettacolo si ride molto. C’è la musica, ci sono frammenti futuristici. Faccio un viaggio temporale. La serata di sabato sarà un unicum. Nel senso che quelle che seguiranno saranno modellate su questa.  Questo periodo di silenzio è servito a raccogliere il materiale e a farmi ritornare la voglia di ripartire. 

Non è mai troppo tardi per scendere in piazza, anche se è un palco?

Quando uno over sessanta si rimette in gioco significa che sente il dovere di dire basta a far ‘giocare’ gli altri. Torniamo a giocare noi. Una metafora in cui il giocattolo è il nostro Paese. Un artista ha i radar e certe cose le intuisce molto prima.  E queste cose le avevo intuite molto tempo fa. Il problema è che quando poi le capti non devi lasciarle morire nel cassetto. Mi è venuta la voglia di tornare a mettermi in gioco, di divertirmi. Anche su materiali difficili su cui ironizzare. Non si vedranno gag di comici come nei siparietti televisivi. I nostri punti di riferimento sono sempre Gaber, Jannacci, Jon Beluschi. Ci sarà anche un omaggio a Freddie Mercury e una lettera che ho scritto a De Andrè per i vent’anni della sua dipartita, quasi a dire ‘tu sapevi che sarebbe successo tutto questo e te la sei svignata1.  Oggi se sali sul palco devi dare qualcosa ma veramente, altrimenti è solo una recita. L’urgenza del parlare come bisogno politico. Bisogna riprendere il filo e chi ha da dire deve dire. 

Anche in questo lavoro continua la collaborazione con Gennaro Romano.

Quando ci siamo rincontrati è stato quasi un ritrovarsi. Dopo il disco “Non Canto, Non Vedo, Non Sento”, continua questa collaborazione che nasce soprattutto da un’amicizia che va indietro nel tempo. È una cosa molto bella, di solito nell’ambiente dello spettacolo non accade. Questo compendio è importante. Quando scrivi tanto e poi trovi chi ti segue giocando anche in situazioni iperboliche è davvero il massimo. Insieme soprattutto ci divertiamo. 

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