Non solo brucellosi, mattanza di bufale per diagnosi ‘facili’ pure per tubercolosi

CASERTA – Chi è dentro al palazzo decide in nome e per conto degli altri che sono fuori. Funziona così. E la bontà di questa procedura, in democrazia, viene (dovrebbe essere) garantita dalle urne. Perché nel palazzo arriva l’eletto (o chi sceglie l’eletto), cioè la persona che ha preso più voti e quindi la più rappresentativa. Da qualche mese per immergerci nel dramma campano degli abbattimenti di bufale, ci confrontiamo quasi ogni giorno con gli allevatori del casertano. Loro nel palazzo non ci stanno: trascorrono il proprio tempo tra azienda agricola e famiglia. E ascoltandoli la sensazione è che il meccanismo di rappresentanza, almeno stavolta, sia clamorosamente fallito. Tra le loro esigenze, tra ciò che chiedono, tra ciò che ritengono giusto per ridare sicurezza al settore, falcidiato da brucellosi e tubercolosi (e dalle regole tracciate per debellarle) e ciò che invece ordina chi c’è dentro il palazzo (che pure gli allevatori hanno contribuito ad eleggere) emerge uno scollamento enorme. Buona parte di chi fa impresa con le bufale, producendo e vendendo latte, dice che avrebbe voluto un piano per eradicare le malattie infettive incentrato “su l’accuratezza della diagnosi, sulla prevenzione”. Ed invece sostiene che il documento approvato dalla Regione Campania, istruito da Nicola Caputo, l’assessore all’Agricoltura scelto dal governatore Vincenzo De Luca (l’eletto), è principalmente teso alla macellazione degli animali. 

Le prove diagnostiche previste per accertare casi di tubercolosi nelle stalle non sono convincenti. “Con il nuovo piano c’è la possibilità che aumentino i falsi positivi mandati a morire”, hanno dichiarato gli esponenti dell’associazione ‘Tutela allevamento bufala mediterranea’. La Regione ha stabilito che le indagini per verificare eventuali casi di tubercolosi vanno eseguite attraverso Idt singola, ovvero l’Intradermotubercolinizzazione, processo teso ad evidenziare la reazione di ipersensibilità di tipo ritardato della bufala all’iniezione tradermica di Tubercolina. A conclusione di questo iter, i capi positivi vengono isolati in attesa dell’invio al macello. Successivamente si procede all’esame anatomopatologico e gli organi dell’animale “devono essere processati attraverso le prove diagnostiche  di laboratorio atte a confermare la malattia (Pcr e batteriologico)”. Se vengono riscontrate lesioni, ritenute determinate dalla tubercolosi, anche su un solo capo, il focolaio nella stalla individuato dalla Idt viene confermato e si passa ai ri-controlli previsti. In assenza di lesioni sui capi che erano stati indicati come positivi, viene usata la Pcr sugli organi. Se l’esito è positivo, pure su un solo campione prelevato da un singolo animale, il focolaio viene dato per certo. Se è negativo allora si attiva l’esame batteriologico. Questi a grosse linee i passi che il nuovo piano fa percorrere nell’azione di diagnosi. Ma a tanti allevatori non piace: lamentano l’aver dato eccessivo peso al Idt: basta quello e si dà il via alla processione delle bufale verso i macelli. “Eppure – ha ricordato Adriano, un imprenditore agricolo dell’Agro aversano – era stata la Regione che in precedenza aveva ritenuto l’Idt un test altamente aspecifico sulla specie del bufalo mediterraneo”. Una valutazione, ora, non più considerata: perché si ricorre ad indagini suppletive, prima di mandare a morire l’animale, solo nei casi in cui l’Idt è dubbio. Nella specie bovina si ricorre alla prova Idt comparativa e per quella bufalina alla prova del gamma interferone. 

Dai dati raccolti dall’Asl di Caserta e trasmessi alla Procura di S. Maria C.V. (che sta indagando sugli abbattimenti), emerge, però, che tantissime bufale inviate al macello perché indicate positive a seguito di esami Idt ‘certi’ o comunque confermati in seconda battuta, sottoposte ad analisi post mortem non risultano avere i segni della tubercolosi. 

Prendiamo come riferimento il 2020. Su 8187 animali macellati (in quanto positivi alle prove in vivo) esaminati batteriologicamente, solo in 30 sono stati isolati batteri del complesso Mycobacterium tuberculosis. Che vuol dire? Che soltanto sullo 0,37 percento delle bufale uccise due anni fa nell’azione di contrasto alla tubercolosi c’è certezza dell’infezione. E non sono più incoraggianti le cifre degli anni addietro (riportate nella tabella in basso). Le diagnosi ‘in vita’ tracciano una miriade di bufale infette. Quelle post mortem dicono che probabilmente la maggior parte di loro si sarebbe potuta salvare. Non è stato fatto. E il nuovo piano varato dalla Regione, secondo tanti allevatori, fa poco o niente per impedire che un simile massacro possa ripetersi nei prossimi anni.

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