Pestaggi, c’era Lavoretano. In cella perché accusato dell’omicidio della moglie

Gli avrebbero intimato di mettersi sulle ginocchia, ma non poteva per un problema di salute. A quel punto fu trascinato

S. MARIA C.V. (Ferdinando Terlizzi) – Sono tutti scritti a chiare lettere nell’ordinanza del Giudice Sergio Enea i nomi dei ‘massacratori’ di Emilio Lavoretano il giovane gommista sammaritano condannato a 27 anni di carcere accusato di aver ucciso la moglie Katia Tondi. I reati contestati vanno dai maltrattamenti alle lesioni con le aggravanti. Dalla lettura delle carte la “sforbiciata” o “il Sant’Antonio”, si svolgevano così: molti detenuti venivano condotti dal Reparto Nilo al Reparto Danubio; tutti i detenuti della I sezione – con la sola esclusione di quelli della cella 8, venivano portati dalle loro celle alla sala ricreativa; con riferimento ai detenuti ubicati nelle altre sezioni, alcuni venivano convogliati nella sala della socialità, altri nelle aree del passeggio. L’obiettivo era quello ci recuperare il controllo del carcere ed appagare le presunte aspettative del personale della polizia penitenziaria (generate dal mancato intervento armato, a seguito della protesta, organizzata dai detenuti del Reparto Nilo il giorno 5 aprile e immediatamente finalizzata alla distribuzione dei dispositivi di protezione individuale, nel periodo dell’emergenza epidemiologica da Covid-19) con una pluralità di violenze e minacce gravi, contrarie alla dignità e al pudore delle persone recluse, degradanti ed inumane, prolungatesi per circa quattro ore del 6 aprile e nei giorni successivi, consistite in “percosse, pestaggi, lesioni – attuati con colpi di manganello, calci, schiaffi, pugni e ginocchiate, costrizioni ad inginocchiamento e prostrazione, induzione a permanere in piedi per un tempo prolungato, faccia al muro, o inginocchiati al muro” – e connotate da imposizione di condotte umilianti come, l’obbligo della rasatura di barba e capelli. Tra le vittime di quelle violenze anche Lavoretano, (il quale, tra l’altro, ha presentato querela tramite il suo difensore) al quale sono state causate lesioni da azione contusiva, non refertate, visto che il 6 aprile e nei giorni successivi, sarebbero state “negate ai detenuti visite mediche ed ogni forma di terapia farmacologica”.

Quattro-cinque agenti, ancora non identificati, fecero ingresso nella cella 7 della V sezione, al quarto piano del Reparto Nilo, avrebbero intimato a Lavoretano di posizionarsi con la faccia rivolta al muro, di denudarsi, affinché venisse perquisito. Gli fu anche ordinato di eseguire flessioni al fine di verificare l’occultamento di oggetti non consentiti e, dinanzi all’impossibilita del soggetto di mettersi in ginocchio per problemi fisici alla schiena (per i quali indossava un busto), fu trascinato con forza all’esterno della cella. Fu colpito con un violento schiaffo al volto e fu costretto a percorrere il corridoio – gremito di numerosi poliziotti della penitenziaria, alcuni dei quali gli sferrarono numerosi colpi al volto, alla testa e al corpo, fino a raggiungere l’area nota come la ‘rotonda’. In quella zona un agente, non ancora identificato, lo colpì con un forte schiaffo al volto, facendolo cadere a terra, poi lo ingiuriò con espressioni del tipo “il problema alla schiena? Uomo di merda, femminnella, alzati da terra”. Appena Lavoretano si rialzò da terra, fu colpito con violenti schiaffi al volto. Avvicinatosi al cancello di ingresso dell’ottava sezione, agenti non identificati, gli impedirono l’ingresso, spingendolo nell’area rotonda, sferrando colpi con manganellate alle gambe e alla testa, e gli intimarono di recarsi all’area passeggio. Lungo le scale, nonostante la ferita sanguinante alla nuca mostrata da Lavoretano e il busto indossato, soggetti non identificati, lo hanno colpito ancora con calci e manganelli, soprattutto alla schiena, provocandone la caduta in più occasioni. Senza contare ulteriori insulti con parole del tipo “femminella, uomo di merda, cornuto…”. Nel corridoio del piano terra, che congiungeva il Reparto Nilo con gli altri Reparti dell’istituto penitenziario, soggetti non identificati, in numero elevato, disposti su ambo i lati del corridoio, aggredirono ancora Lavoretano con manganellate alla nuca e alla schiena, fino al cancello di ingresso dell’area passeggio ove, dopo una permanenza di circa quindici minuti, cantando sarcasticamente le parole “finita la zizzinella..”, costringevano a ripercorrere il corridoio del piano terra e le scale, per giungere nella cella di appartenenza e lungo tutto il tragitto, lo aggredivano con ripetuti colpi, soprattutto alla testa e alle mani. Lavoretano, giunto in cella, si accorse che era stata messa a soqquadro, con il danneggiamento delle suppellettili. Sparsi sul pavimento c’erano anche generi alimentari.

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